Garnier L’oréal Italia e l’epic fail delle occhiaie…


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Alzi la mano chi di noi non ha a casa almeno un prodotto Garnier. Pochi lo sanno ma il marchio altri non è che uno dei tanti brand di casa L’Oréal anzi, secondo le statistiche di mercato, il più apprezzato e venduto. Vuoi per i prezzi abbordabili, vuoi per l’invitante claim “Prenditi cura di te”, vuoi perché negli anni il messaggio che è stato costruito e fatto passare era quello di un’azienda “vicina alle donne” nella loro quotidianità. Vuoi anche perché la Garnier Italia ha investito su testimonial che rappresentano il modello di amica che tutte noi vorremmo avere: sorridente,  affidabile, bella ma non troppo da soffiarci il fidanzato, curata. Insomma la Cuccarini e la Panicucci.

Poi è arrivata Carolina Crescentini. Ed è stato il flop. A cominciare dalla campagna su Facebook (clicca sull’immagine per ingrandire)

cresce1il problema? Le sue occhiaie nella pubblicità di una crema viso che si dichiara addirittura “prodigiosa”. Perché una donna può perdonare tante cose ma che manchi il Photoshop: quello proprio no! E lo si vede benissimo dai commenti impietosi di decine di fan che ridicolizzano la poverina e mettono in dubbio l’ efficacia del prodotto.

Nota positiva: il primo commento però, che poteva diventare una bomba ad orologeria, è stato gestito bene, o quantomeno direi “neutralizzato”. Alla ragazza che indicava la sua intolleranza alcool contenuto nelle cremedi Garnier ed i relativi problemi che ne erano derivati il community manager chiede di segnalare la sua esperienza

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Ma il fail nasce da un’ ennesimo problema: la promozione. L’annuncio della pagina è chiaro e dice che cliccando sul link si potranno richiedere dei campioni omaggio gratuiti del prodotto ma il più degli utenti si lamenta che il link non funziona o l’operazione è difficoltosa.

Fail GarnierInsomma: le occhiaie della Crescentini diventano un caso di marketing. Ma è da registrare anche qualche commento che incita, finalmente, ad un po’ di sana naturalezza nelle foto  apprezzando il fatto che l’immagine non sia stata eccessivamente modificata per mostrare l’ennesima bellezza artefatta e priva di difetti.

Voi che ne pensate!?

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Social Media e fumetti: di Zerocalcare, Roberto Recchioni e Makkox.


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Prologo: forse non tutti sanno che durante la Social Media Week si è parlato anche di fumetti. Sì esattamente,  ed in quell’occasione mi è tornato in mente che anche io, anni prima, mi divertivo a disegnare intere tavole sulle mie dis-parate, dis-graziate, dis-ordinate avventure da liceale. Poi ho smesso, in compenso sono sempre rimasta affascinata da chi sa far nascere storie con pochi tratti. Come potevo perdermi l’incontro con Zerocalcare e Roberto Recchioni? E quindi ecco cosa è accaduto qualche giorno fa…

Che sta succedendo qualcosa a Palazzo Reale te ne accorgi dalla quantità di gente che si stipa nella sala in attesa dell’evento “Social & Comics: il fumetto ai tempi dei Social Network”. E no. Non ci sono guru internazionali, non stiamo dando shortini gratis o tantomeno attendiamo l’ultima star di X-Factor. Entrano due ragazzi, che se li guardi bene, sembrano quei tuoi due colleghi d’università con cui c’hai passato notti di appunti, evidenziatori e caffè.  Quelli con cui ci discuti sia dei massimi sistemi che della tipa per cui stai in sbatta. Quelli che… Ecco proprio quei due.

Eppure seduti davanti a me e ad altri centinaia di spettatori ci sono Zerocalcare, al secolo Michele Rech e Roberto Recchioni, beniamini di migliaia di appassionati di fumetti di ogni età. La sala è gremita e loro sono pronti a chiacchierare con Matteo Stefanelli che annuncia da subito “Mi spiace ma Makkox non c’è, è a casa con l’influenza quindi lo salutiamo: forse ci vede in streaming”.  Ma Makkox non è uno che immagini a letto con la copertina e il termometro. Infatti decide di sfruttare Twitter per bombardare durante l’evento i suoi amici con vignette pungenti.

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Ci sarebbe molto, troppo da dire su questa chiacchierata, che sicuramente per chi ha assistito alla Social Media Week è stato uno degli appuntamenti migliori, ricchi di energia, spunti e riflessioni nonostante l’argomento apparentemente leggero.  Da Zerocalcare che dice “io rispondo ai commenti sul web solo quando sto a rosicà!” a Roberto che consiglia al giovane amico “ Ti devi tenere qualcosa per te quando disegni, altrimenti il pubblico ti prende tutto. E’ devastante!” . Dall’ analisi su come internet e i social cambiano l’approccio al disegno (“E’ un problema tecnico: sono le piattaforme che definiscono il linguaggio”- sottolinea Roberto) agli aneddoti su casa Calcare e Lady Cocca (“La mia famiglia non l’ha ancora mica capito che lavoro sto a fa!”). Tutto rigorosamente in un colloquio così alla mano e così informale che obbliga i ragazzi del team della Social Media Week a fare live tweeting in romano.

Alla fine il tempo trascorre velocissimo e fra una battuta, un tweet di Makkox, una vignetta e una supercazzola nemmeno ti accorgi che sono quasi le nove ed è ora di andare. E ovviamente Roberto e Michele vengono circondati dai fan per un autografo, un disegno o anche solo una stretta di mano. Non c’è gara: questi due hanno fatto il botto. Spontanei e irriverenti, ironici e dissacranti come i loro personaggi, Zerocalcare e Roberto Recchioni hanno conquistato il pubblico della sala, di Twitter e del web.  E quando te ne torni a casa c’hai un po’ di nostalgia: che sarebbe stato bello starsene ancora lì a parlare un attimo, a ridere e magari bersi una birra con queste due “variabili impazzite”.

Ps. Se volete vedere il video della conferenza lo trovate qui 

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La Social Media Week è finita: andate in pace.


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Come? Vi lamentate del fatto che non ho scritto nulla?! Beh, in realtà ho scritto eccome! Potete trovare sul blog ufficiale di Social Media Week Milano, curato dal team di Hagakure, i miei post su Power to Social Media Lovers (l’evento dedicato alle opportunità offerte dall’e-commerce per le startup e i brand) e sulla Smart Governance, ovvero la possibilità che le smart city diventino punto d’incontro fra cittadini e amministrazioni usando strumenti d’innovazione digitale.  E se questo non vi bastasse potete trovare tutte le foto, i quotes, e altre risorse sul mio profilo Twitter all’hashtag #SMWmilan. In questi giorni ho fatto davvero il pieno e ho cercato di seguire il più possibile il fitto programma.  Che poi seguire è un parolone perché quando sei lì stai con due schermi davanti a fare live tweeting (iPad e smartphone nel mio caso), ogni tanto alzi gli occhi al monitor per vedere le presentazioni (terzo schermo) e di seguito  scatti le foto ai relatori sul palco, che è a sua volta una sorta di cornice/schermo. Quindi: rincoglionisci. Però funziona. Funziona così tanto che può capitare di ritrovarti nella classifica dei 10 maggiori influencer mondiali in tema SMW su Twitter.  

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Questo può significare due cose:

1) Sono una persona parecchio molesta.

2) Twitto come una pazza. 

Non so quale delle due sia meglio. Ci penserò su tutta la notte, credo, mentre mi chiedo cosa sarà del mio domani senza un live tweeting.

 

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Social Media Week Milano: #Day 1


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Non si può dire che la settimana sia cominciata in sordina. A poche ore dall’apertura della Social Media Week c’è già chi  chi analizza il flusso dei tweet, crea Storify (questo di Telecom è davvero completo) e si complimenta per lo streaming e il live tweeting del Social Media Team che consentono anche ai più lontani di partecipare agli eventi a distanza.

Insomma: non servirà arrivare alla fine della settimana per capire che questa è davvero un’occasione ricca di opportunità sia per conoscere che per fare networking. Ho apprezzato particolarmente il fatto che alcuni relatori abbiano apertamente detto in chiusura di conferenza “resterò qui ancora per un po’ per rispondere alle vostre domande!” e non siano fuggiti, quasi timorosi di un approccio con il pubblico che in alcuni casi per mancanza di tempo è venuto meno.

Ieri oltre alla cerimonia d’apertura sono riuscita a seguire ben due eventi. Intorno all’ora di pranzo il panel su Social Media & Food ha coinvolto alcuni dei nomi più noti del social cooking  italiano per spiegare come cambia il rapporto con la cucina, gli chef e il cibo. Mi si consenta il gioco di parole se dico tanto fumo e niente arrosto: perché di cibo ovviamente nemmeno l’ombra.  In compenso acceso è stato il dibattito su Instagram e sul fatto che, con la condivisione globale in tempo reale e i check-in molti cuochi si lamentino dell’effetto mancata sorpresa e i clienti della mancata privacy. Se vi ho incuriosito potete leggere qui un post di Ilaria De Filippo che ne parla più approfonditamente

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Il secondo appuntamento dal titolo“Power to Social Media Lovers! Monetizzare con l’E-Commerce, tra Social e Blog” si è svolto presso uno Urban Center affollato, indice del gran numero di persone interessate all’argomento. Ad aprire i lavori Alberto D’Ottavi di Blomming che, dopo un breve profilo del consumatore digital medio, ha ceduto il microfono a Francesca Ianiro di Socialbakers che ha illustrato quanto potenziale ci sia dietro l’Italia social. Anche una piccola azienda come Jeckerson è intervenuta a portare la propria esperienza : Antonio Tombolini ha parlato della possibilità di uso dei social anche come strumento di testing per capi d’abbigliamento.

A concludere su un argomento a me molto caro Francesca Masoero di Stream! Magazine che con un rapido excursus ha illustrato le startup vincenti che si sono ritagliate grazie ai social una interessante fetta di mercato in crescita. Infine il progetto Blomming, ovvero la startup italiana che consente di guadagnare condividendo online nel proprio shop gli articoli che più ci piacciono e ottenendo una commissione sul venduto. Semplice, facile e molto social grazie alla possibilità di embeddare il corner shop con profili Facebook e account personali.  Insomma: molte informazioni da cui prendere spunto per eventuali idee innovative o di partnership. Se volete saperne di più questo è l’ articolo sul sito ufficiale della Social Media Week.

Se vi state mordendo i gomiti perché non potete partecipare ricordate che potete seguire gli eventi anche in streaming grazie a Telecom Italia. E se volete portarvi a casa un pezzettino di Social Media Week non perdete di vista l’account ufficiale su Twitter: le dita più veloci possono vincere la tshirt ufficiale.

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Social Media Week Milano: arrivo!


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Valigia pronta, device tecnologici in borsa, chiuso acqua, luce, gas… Si parte! No, non mi reco a festeggiare il San Valentino in qualche calda località esotica e tanto meno vado in ferie posticipate: la mia destinazione è Milano, capitale della moda e dalla prossima settimana città della Social Media Week, l’appuntamento dedicato alla comunicazione che più social non si può.

Se vi siete persi la tappa dell’anno scorso (la Social Media Week si tiene ogni sei mesi!) questa volta non avete davvero scuse. Ad aspettarvi c’è un programma denso di appuntamenti realizzati in collaborazione con partner d’eccezione: dal social media marketing alla cucina, dall’ e-commerce ai cambiamenti politici e culturali apportarti da Twitter e Google+,  passando ai trend del mobile e al travel blogging. Potete scegliere voi se fare una grande abbuffata o assaggiare di tutto un po’.

Le location sono bei quattro, tutte facilmente raggiungibili (zona Duomo, metro gialla e rossa) e tutte spettacolari.  Per partecipare agli appuntamenti  è necessario effettuare il login al sito ed prenotarsi a ciascuno evento. Alcuni sono già al completo ma il mio consiglio è quello di tentare ugualmente: non si sa mai qualche defezione dell’ultimo minuto o un colpo di fortuna.

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E ora veniamo a me: cosa vado a fare? Con grande gioia posso finalmente annunciare che  dal 18 al 22 Febbraio farò parte del team ufficiale della Social Media Week Milano coordinato da Hagakure.  A guidare la nave in quella che si prospetta un’intensa ma interessante traversata ci saranno: Gianfranco Chicco, Gloria Formenti, Roberto Peraboni, Filippo Marano, Gina Sorce e Donato Carriero aka Markingegno.

Inutile dire che cercherò di essere i vostri occhi e le vostre orecchie seguendo i talk più interessanti e chiedendovi di partecipare attivamente con commenti e tweet. Mi piacerebbe anche che questo evento divenisse l’occasione per conoscere chi mi segue e magari scambiare quattro chiacchiere davanti ad un caffè, per cui potete contattarmi su Twitter. Se invece siete impossibilitati a venire a trovarci  seguite l’hashtag #SMWMilan, il sito ufficiale, la pagina Facebook e ovviamente questo blog!

Ora mi tocca scappare in aeroporto o fra un po’ mi vedrete correre sulla pista di decollo urlando al pilota “Feeeeermatiiiiii!!”. Una cosa simile mi è già capitata…ma quella è un’altra storia!

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Startup: come realizzare una buona presentazione della tua idea.


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Ogni tanto, quando leggo un documento particolarmente fumoso, o assisto ad una presentazione che non capisco dove voglia arrivare, mi chiedo se sia ancora valido il primo assioma della comunicazione, sì proprio quello che dice  Non si può non comunicare”. Perché se comunicare è “mettere in comune” informazioni sfido chiunque a non essersi trovato almeno una volta nella vita davanti ad una mail incomprensibile o ad un progetto poco chiaro e a farsi la fatidica domanda “Ma questo che voleva dire!??”

Quando lo scenario cambia, e si gioca su terreni più importanti come un colloquio di lavoro, o la ricerca di finanziatori per una startup la questione si fa delicata, pertanto, ho raccolto i consigli di alcuni amici startupper, imprenditori, innovation worker e vc per elencare alcuni dettagli a cui fare attenzione.

1) Essere troppo convinti. “Penso che sia un errore  innamorarsi della propria idea e sottovalutare quanto essa interagisca  con i desideri o le necessità del potenziale cliente/fruitore/investitore.” a suggerirlo è Viviana Cannizzo di Hub Sicilia–  “spesso mi capita di ascoltare persone esaltatissime che non prendono in considerazione il riscontro autentico della portata delle loro proposte”

2) Non avere le idee chiare.  “L’arte del pitch è un’arte complessa che si avvicina molto al teatro, alla recitazione. Se non hai chiaro  ogni singolo aspetto del prodotto o progetto che vuoi presentare  rischi di ricevere pomodori” a dirlo è Marco Vismara startupper berlinese e CEO di Lookals  che aggiunge “altro errore è citare tre problemi e dare due soluzioni, oppure darne una che racchiude più punti.  Chi presenta il progetto deve essere parte dell’idea stessa e come tale deve essere un tutt’uno con quello che mostra.

3) Fare una scarsa indagine sul contesto competitivo. Secondo Peppe Sirchia di Meedori Raramente viene fatta un’analisi concreta dei competitors e del perché l’utente dovrebbe scegliere un servizio rispetto ad un altro.  Spesso si crede di poter entrare in competizione con grandi colossi partendo da zero. I colossi non hanno tre dipendenti ma ne hanno decine se non centinaia e sicuramente, anche se la loro burocrazia interna è più laboriosa, ciò rende  impossibile recuperare il gap”.

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4) Non fare bene in conti. “Nel business plan si considerano un quinto delle spese, non si valuta realmente l’incidenza della burocrazia e delle tasse, oppure ci si affida troppo ai prestiti.” sottolinea Raffaele Pizzari, CEO di EgoRego. “Quando si deve convincere un investitore a volte ci si dimentica di focalizzarsi  sul motivo reale del perché dovrebbe funzionare e ci si affida troppo spesso al magic happens.

5) Essere anonimi. “Quando ho un progetto fra le mani mi piace sapere chi lo sta presentando e il mio sguardo va alla ricerca dei nomi del team. Oltre all’idea do anche un’occhiata ai loro profili- dice Daniele M., milanese e VC. – “A volte bastano poche righe, una frase, un dettaglio per rendere familiare chi hai di fronte. Stessa cosa per gli startupper: è buona regola conoscere un po’ l’imprenditore che state andando ad incontrare. Non siate sprovveduti: con Google si può sapere molto di tutti!”

6) Presentare documenti illegibili o inviare file enormi. “Sono queste le cose che inibiscono il percorso della tua idea dalla casella di posta elettronica al tavolo di qualsiasi finanziatore”- sostiene Enrico, business angel- ” e se ne vedono più di quelle che pensiamo. E poi gli errori grammaticali: molti non li interpretano come sintomo di ignoranza ma come mancanza di cura e attenzione ai dettagli. Se tu non hai tempo di rendere adeguata la presentazione del tuo progetto perché il finanziatore dovrebbe scomodarsi a leggerlo?”

E voi? Cos’altro aggiungereste a questo elenco?

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La strategia comunicativa di Obama: fra politica ed immagini unconventional.


Sommersa dal lavoro, dagli studi e dalle incombenze che a Gennaio spuntano come funghi ho messo da parte decine di post da pubblicare ma questa riflessione mi sento di condividerla con voi.

Dopo la lettura di un articolo  su Linkiesta  mi è tornata in mente una foto di  di Obama  con una ragazzina che avevo visto online qualche tempo fa. Andando alla ricerca di chi fosse ecco che spunta la storia: lei è la campionessa americana McKayla Maroney a cui è sfuggito l’oro olimpico per un volteggio. L’espressione (divenuta nota come “not impressed”) l’ha sfoggiata sul podio  ed in breve è diventata una vera icona.

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Ma questa è solo una delle centinaia di immagini che ritraggono il Presidente in pose decisamente unconventional.

C’è poco da fare: dietro le foto di Obama che compaiono sul web c’è la raffinata arte di chi sa “porsi” davanti all’obiettivo e ha capito che l’immagine migliore che un politico possa dare di sé stesso passa attraverso scelte low profile: la famiglia, la moglie, l’essere alla mano, la quotidianità, lo scherzo, l’ironia, i sentimenti. E’ un atteggiamento destinato al successo perché accorcia le distanze e rende uno dei più potenti uomini del mondo familiare a chiunque come l’amico su Facebook o il vicino di casa.

Voi cosa ne pensate?

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#Pdftribute: l’hashtag che libera la rete


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Se ieri avete deciso di andare a dormire prima sappiate che avete commesso un grosso errore. Da qualche ora, in memoria diAaron Swartz, migliaia di studiosi e accademici hanno deciso di postare liberamente i loro lavori su internet utilizzando l’hashtag #pdftribute.

Tutte le risorse messe a disposizione degli utenti  sono recuperabili al sito pdftribute.net che offre l’elenco dettagliato e aggiornato anche se purtroppo attualmente non consente una ricerca per argomento all’interno del flusso di tweet.

Fra le prime  opere ad essere condivise gratis il libro Wikicrazia di Alberto Cottica e il testo di Luisa Capelli sull’editoria nell’epoca digitale.  (twittato anche sotto #openacademia). E poi ricerche  sulla comunicazione e sui social media (interessante questa su Twitter), medicina, storia, cultura, antropologia, tecnologia e filosofia. Come un gigantesco vaso di Pandora la scienza viene fuori dai cassetti, si toglie la polvere di dosso e prende vita.

Se anche voi avete una tesi, un articolo, una ricerca, che pensate di poter donare al popolo del web condividetelo online oppure leggete questo post che spiega come fare.Intanto il dibattito sull’accesso libero alle fonti continua  su #openaccess e porterà nei prossimi giorni domande a cui tutti saremo chiamati a rispondere.  Ma prima di tanto clamore è indispensabile chiedersi: c’era davvero bisogno di un martire degli open data perché accadesse tutto questo?

News: per comodità di consultazione ho deciso di linkare le fonti in lingua italiana e inglese che penso possano essere interessanti. La lista è in aggiornamento: grazie a chiunque vorrà segnalarne altre usando #pdftributeitaly.

Federica Timeto su: Media, Arti Visive, Cyperspazio e Arte. (ITA + ENG)

Francesco Cuciniello su Cinema. ( ITA)

Marcuso O’ Donnell su: Media, Educazione, giornalismo e cultura. (ENG)

C.E. Shannon: Una teoria matematica della comunicazione (ENG)

Adrianne Russel su: International blogging, New Media, Journalism (ENG) 

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“To Do List” per Startup: cosa fare immancabilmente nel 2013.


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Quante volte avete compilato una lista di cose da fare? Io personalmente quasi sempre. Vuoi per comodità, per esigenze pratiche o perché ho la memoria corta, organizzare impilare e programmare è un’attività che mi aiuta. Secondo alcuni studiosi fare le liste significa liberare il cervello dai pensieri evitando che questo si blocchi impantanato in centinaia di urgenze che incombono. Ma esiste una lista efficace e perfetta? E soprattutto: esiste un elenco di buoni propositi che una startup deve mettere in conto?

Il primo che mi sento di rigirare è quello che ho letto nell’articolo di Harry Mylonadis ovvero rafforzare il brand e creare un’identità forte e facilmente riconoscibile. Ricordate che il brand non coincide con il logo o tantomeno con la campagna pubblicitaria o il prodotto. E ovviamente usate i social (se vi chiedete come qui trovate materiale utile!) 

Presenziare agli eventi e fare networking come suggerito da Silvio Gulizia. Ovvero non limitarsi a lavorare a testa bassa ma prendersi qualche ora di libertà e partecipare ad appuntamenti che, in qualche caso, possono fare la differenza. In Italia anche quest’anno si attende con impazienza lo StartupWeekend che toccherà più città e il TechCrunch Italy. Se preferite però cominciare da realtà più nostrane non perdetevi gli aperitivi di IndigeniDigitali e gli StartupParty.

Imparare l’inglese (bene, veramente!). Per attrarre investitori stranieri è necessario internazionalizzarsi e questo non significa solo studiare il mercato estero ma anche possedere una conoscenza della lingua ottima. Non dovete solo mirare a realizzare il miglior pitch possibile per la vostra startup, ma pensare anche agli eventuali colloqui che potrebbero capitare nei momenti imprevisti, alle domande che potrebbero rivolgervi e alle richieste di spiegazioni tecniche.

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No One Man Show ovvero da soli non si va molto lontano. Gli investitori guardano di buon occhio le startup con un team variegato, solido e competente alla base. Anche se la tua idea è bellissima e rivoluzionerà il mondo tieni in conto che, non avendo la controparte, ti troverai a fare molte delle scelte in totale solitudine. E ciò non sempre significa autonomia decisionale, anzi, il più delle volte questo limita le capacità oggettive di giudizio.

Credo che questi punti possano essere una buona base di partenza su cui lavorare per le startup nel 2013. Voi aggiungereste qualcosa?

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Ogni blogger che si rispetti lo sa. Qualche giorno prima della fine dell’anno è assolutamente indispensabile riporre un attimo da parte l’arrosticino che si sta smangiucchiando (residuo degli avanzi di Natale, quello appena trascorso, si spera!) e scrivere due/duecento righe che attestino ai posteri il fatto che voi, il 21.12.2012 l’avete superato, alla faccia dei Maya. Parole commoventi, toccanti, toccate, taroccate. Insomma: un saluto, un bigliettino, un rigurgito d’inchiostro o bit comunemente noto come

IL POST DI FINE ANNO

A fronte del fatto che molti cominciano a prendere a testate il muro (perché dopo diverso tempo che scrivi un attimino in crisi ci vai!) i post di questo tipo si possono riassumere in 3 categorie.

a) Post elenco: lungo sciorinare di premesse, promesse e propositi, per l’inizio, qualsiasi inizio. Sarò più buono, più sorridente, più cattivo, più stronzo, più astuto, più… più. Salvo poi che a metà anno il post-elenco finisce da qualche parte, non si sa dove, e tutto si dimentica. Questa tipologia di testo ha possibile variante esistenzialista qualora tentasse di  dare risposta alle annose questioni “Chi Sono? Cosa sono? Dove vado (a capodanno)?”.

b) Post budgetistico: che risponde alle domande Quanto ho imparato? Quanto mi sono divertito? Quante persone fighe ho conosciuto? Quanti posti pazzeschi ho visitato? A quanti eventi ho presenziato? Quante delle persone che mi seguono rosicheranno per tutto questo? Il Piccolo Principe dice alla Volpe che gli uomini chiedono sempre le quantità di qualcosa, non le qualità. Quando si compra una casa nessuno chiede di che colore sono le pareti, o com’è la luce che entra dalle finestra ma sempre “Quanto è grande?” ” Quanto costa?”. E così a volte ci troviamo in case da 250 metri quadrati con i muri colore pipì di gatto. Giusto per ricordarvelo eh!

c) Post cartolina/letterina all’anno passato riassumibile nella formula

Caro Anno [numero dell’anno] sei stato un anno [aggettivo a piacere] e anche se [evento variabile] sono convinto che [conclusione opinabile]. Mi auguro comunque che [elenco di speranze più o meno realizzabili], perciò aspetto il tuo arrivo con [sentimento a libera scelta]. Spero non mi deluderai [Saluto finale+Nome del blogger].

Se invece, come me, vi siete beccati l’influenza dal 27 al 2 Gennaio e siete riusciti a saltare questo rito tribale perché allo scoccare della mezzanotte eravate impegnati a delirare e  brindare con l’aspirina vi siete salvati dalla maledizione del post di fine anno. Avanti così! Restano solo altri 364 giorni da riempire. Ed intanto auguri, in ritardo, a tutti!

Pubblicato il da Annalisa Silingardi | 4 commenti