Come un’immagine sbagliata può distruggere il tuo post perfetto.


Come state messi a memoria fotografica? Bene? Male? Così così?! Poco importa! Quello che conta, e che la maggior parte di noi conosce fin da quando suggeva il pollicione è l’adagio

Un’ immagine vale più di mille parole 

Caso eclatante di questi giorni è il dipinto Ecce Homo di Borja che dopo un (coff coff!) restauro di un’arzilla ottantenne è diventato una vera e propria star con tanto di fans su Facebook e meme che dilagano come quelli che ci sono qui sotto (a proposito! Se volete crearne uno anche voi eccovi il memegenerator)

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 Le copie in questo caso si sprecano, sono divertenti e il risultato è a dir poco virale ma... cosa accade quando la stessa fotografia viene usata per due campagne pubblicitarie? A me è capitato di riscontrare ben due casi in meno di 24 ore! Una coincidenza o il segnale di mancata di creatività e scarsa ricerca? Ecco cosa è accaduto.

Navigando on line mi sono imbattuta in questa immagine a corredo di un articolo sulla capacità della scienza di usare la tecnologia per rubare i segreti personali. Nulla di strano: una ragazza (molto simile a Rihanna!) con un aggeggio in testa a metà fra un massaggiatore e un paio di cuffie di ultima generazione

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 Ma fate attenzione a quest’altra figura…

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L’avete riconosciuta!? Esatto! E’ proprio la stessa ragazza! Anzi, la stessa fotografia, modificata quel poco che basta per adattarla allo scopo.  Nel secondo scatto manca però l’aggeggio tecnologico e la gigantografia campeggia sulla parete di un negozio di estetica e coiffeur per invitare le clienti a provare un taglio proprio come quello di … Rihanna!

Da icona di stile e musica pop a lobotomizzata il passo è breve! E spulciando sul web ne ho la conferma. Quella fotografia è uno dei tagli di capelli più famosi dalla giovane cantante delle Barbados, riprodotto in tutto il mondo su migliaia di testoline di adolescenti e diventato simbolo del boyish style (come si legge qui!). Insomma… non è certo un file jpg qualsiasi! 

Io l’unico taglio che farei è quello sulla testa dell’incauto grafico che ha pensato di usare come testimonial del “ciucciapensieri” un volto ( o meglio, uno scalpo!) tanto noto. Qualsiasi essere in età da brufoli ed MTV sarebbe in grado di svelare il misfatto con gridolini e strepiti e chiedere la pubblica gogna per lo sciagurato.

E’ sempre bene quindi, quando si utilizza una fotografia, accertarsi della pertinenza dell’immagine oltre che della qualità. 

Scusante a suo favore? Gli appassionati di tecnologia in genere non sono molto interessati alle mode del momento, figuriamoci alle tendenze da parrucchiere! 

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1600 offerte di lavoro: ecco quelle per Social, Comunicazione e Web


Penso oramai che abbiate capito tutti il mio motto: condividi et integra! Parlando giusto ieri con un’amica ho detto “non sono il tipo che se conosce un’opportunità professionale tiene l’informazione custodita gelosamente”. So che può essere una mossa a mio svantaggio, soprattutto in campo lavorativo, ma io credo in un paio di cose tipo

  • La lealtà
  • Il valore positivo della competizione
  • La possibilità di crescere grazie alle esperienze degli altri
  • La conoscenza di sé stessi: delle proprie capacità e dei limiti (e la voglia di superarli!)
  • Il concetto di teoria del dono e della condivisione
  • il gioco di squadra.

Ecco perché spero di fare cosa gradita a tutti voi segnalandovi alcune possibilità di lavoro che ho scovato oggi su una rivista ed in particolare quelle dedicate a chi vuole iniziare una carriera nel campo del web, della comunicazione e dei social media.  

E poiché  so bene che spesso per candidarsi occorre passare da una pagina all’altra compilando form, schede e amenicoli vi risparmio il tempo e la fatica: cliccate sul titolo del link e sarete indirizzati subito alla pagina della candidatura! 

Figure Junior per Accenture (Communication & Marketing) 

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Fashion Content Manager Zalando 

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20 Blogger per le profumerie Douglas

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Perché lo faccio? Perché amo il mio lavoro e sono sicura che esistono persone molto competenti in cerca di un’opportunità.  

Non mi resta che augurare a tutti buona fortuna e … che vinca il migliore!

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Un caso da CSI: come perdere followers e fan in una semplice mossa.


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Più efficace di un colpo di karate, più preciso di un diretto di Tyson, più doloroso di un calcio rotante di Chuck Norris. Atterrare l’avversario e … morto! Ecco come far fuori un fan o un follower in meno di una battuta. Ma andiamo al rallentatore e guardiamo intanto i fatti con l’occhio esperto di un agente della scientifica:

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Luogo del delitto: non chiedetevi cosa ci facevo sul link dell’ombretto rosa per capelli (non è come credete! Posso spiegare tutto!). Concentratevi piuttosto sul dialogo fra utente e social media manager (chiamiamolo così!).

La situazione si presenta già problematica perché  l’utente Carlo dice di non amare la pubblicità su Facebook, ma dopo poco cambia argomento facendo una battuta sulla maglietta bianca indossata dalla modella. Il responsabile della pagina risponde, ma i suoi toni mi sembrano troppo rigidi. 

Cosa notiamo? Innanzi tutto non mi sembra che ci sia voglia di creare quel famoso ponte relazionale che fa la differenza e porta il dialogo su un altro piano. Non c’è empatia comunicativa. Chi gestisce la pagina si limita a sottolineare le linee generali e future del brand e il fermo obiettivo di restare fedeli alle direttive. Nel finale poi manifesta chiaramente la chiusura netta nei confronti della critica: come a dire “il pallone e mio, ci gioco io e se non ti piace puoi pure andare al diavolo!”.

La risposta dell’utente arriva come una scudisciata. Quel provvedo  contiene delusione, disinteresse, ironia. Ed è un defollow assicurato.

Quale risposta sarebbe stata più appropriata? A seconda della scelta ci sarebbero state evoluzioni differenti: dal semplice lasciar correre (e quindi non dare rilievo più di tanto al commento, evitando il flame) al tono scherzoso (magari sfruttando il filone meno hot della conversazione, quello proprio della maglietta bianca!). Si poteva infine cercare la collaborazione dell’utente chiedendo come migliorare il servizio, quali sono i prodotti o i marchi di interesse per Carlo o ancora come lui avrebbe gestito la comunicazione di contenuti che (volenti o nolenti) sono tutti riferiti ad oggetti e servizi acquistabili.

Il fan o il follower non è il nemico e tantomeno la pecorella sperduta da accalappiare: è qualcuno che può aiutarci anche a capire come migliorare i nostri servizi, cosa inserire o più semplicemente… se c’è qualcosa che non torna!

E ora torniamo al nostro caso da CSI: voi come avreste risposto a Carlo? E soprattutto: chi lo ha ucciso!? 

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Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo

Gandhi

Credo di non aver mai sentito questa frase più attuale che nel momento in cui sto vivendo. Lo ammetto: parlare di social media dal profondo sud, dall’ombra del vulcano, non è facile come farlo a Milano o a Roma. Ma anche qui i network possono creare coesione, condivisione e … risolvere i problemi!

Poche ore fa mi accartocciavo sul divano preda del caldo e di lancinanti dolori allo stomaco. Con la solita stoica resistenza che mi contraddistingue però non mollavo il mio smartphone (sto pensando di farmelo impiantare direttamente nel palmo della mano!). Leggo lo status su Facebook di un amico “Cercasi giardiniere volenteroso per lavoretto di recupero di un’area verde che diventerà uno spazio per i nostri amici quattrozampe”. Poche risposte. La notizia non fa effetto. Butto lì la mia idea “Chiedi aiuto alla comunità e la comunità ti stupirà”. 

Due nanosecondi dopo creiamo un evento: il primo Green Party della nostra città (Giarre!) tristemente nota solo come “la città delle incompiute”.

Scattano gli inviti, la gente si incuriosisce Da una semplice richiesta di aiuto siamo passati ad un’ invito alla collaborazione, in maniera volontaria, sana e divertente.

Abbiamo messo in comune le nostre risorse, i nostri amici e le nostre energie per un qualcosa che si prospetta un bel momento di condivisione e di conoscenza. Chi dice che i social “riducono i rapporti umani” ha un concetto errato o forse sconosce le potenzialità dei social media, che possono andare ben oltre quello che è la semplice pubblicità o il cazzeggio (mi si passi il termine!).

Twitter e Facebook sono strumenti preziosi:  oltre a fungere da megafono per aumentare la portata della nostra notizia siamo ansiosi di leggere suggerimenti e consigli sugli interventi, sui metodi più semplici di giardinaggio ed magari su donazioni di guanti, carriole, terriccio, vanghe, zappe, grembiuli e … chi più ne ha più ne metta.

Non siamo alla ricerca di architetti o progettisti di giardini inglesi (uhm.. qualche architetto fra di voi!?!)  ma chiunque sarà benvenuto e potrà dare il proprio contributo. In cambio ci sarà un piccolo rinfresco e l’opportunità di socializzare e stare in compagnia in un angolo verde.

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Se volete essere dei nostri l’appuntamento è giorno 9 Settembre dalle ore 9.00 alle ore 15.00 a Giarre, nei pressi di Piazza Duomo. Per restare informati via Twitter l’hashtag è #TagghilaGiarre.

Questa è la pagina dell’evento su Facebook e qui trovate i profili degli organizzatori Rosario Emanuele Salanitri e ovviamente anche il mio!

Credo che non ci sia modo migliore per concludere la settimana che scegliere di creare qualcosa di buono con l’aiuto degli altri! Vi tengo aggiornati! 😉

Pubblicato il da Annalisa Silingardi | 6 commenti

Come evitare la morte di un gruppo su Facebook


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Ogni mattina un uomo si sveglia e sa che dovrà correre più veloce

degli inviti su Facebook.

Sono sicura che è una gara a cui partecipate anche voi. E credo sia una legge matematica: all’accrescere dei contatti gli inviti a serate, feste, meeting, e appuntamenti vari si moltiplicano esponenzialmente. Compresi quelli di partecipazione ai gruppi.

I famigerati gruppi di Facebook. Avete notato anche voi? Ormai per qualsiasi problema o situazione insorga ne nasce uno. Il lido dove andate in vacanza da anni organizza la cocomerata? Gruppo su Facebook Cocomerata Lido 2012. La vostra città è invasa di spazzatura? Gruppo (di protesta) su Facebook. L’erba del vicino è sempre la più verde? Gruppo di ecologisti e giardinieri su Facebook! Il vostro ragazzo vi ha mollato con un bigliettino? Gruppo (di supporto e sostegno morale) su Facebook.

Sembra che aderire ad uno di questi movimenti sia quasi la panacea a tutti i mali e abbia lo stesso valore che andare ad una seduta degli alcoolisti anonimi, con tanto di abbracci virtuali e saluti comunitari. Ma riusciamo ad essere attivi su tutti i fronti?

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Facciamo una prova: aprite la lista dei gruppi Facebook a cui siete iscritti. Probabilmente ce ne sono molti che non seguite da tempo o di cui vi eravate anche dimenticati. Ciò accade perché questi conglomerati virtuali hanno vita piuttosto breve che può essere riassunta in 4 fasi

  1. Il gruppo nasce: un evento, un’idea, un movimento politico, sociale o intellettuale. Le cause sono le più disparate (e disperate!). Nella prima fase vengono mandati gli inviti e si cerca di contattare la maggioranza degli utenti
  2. Il gruppo cresce: iniziano i primi post, le conversazioni e gli scambi d’opinione. Il fattore novità crea interesse: gli utenti sono più propensi a condividere le loro esperienze.
  3. Il gruppo  si stabilizza. E’ la fase in cui all’attenzione iniziale subentra una sorta di “velocità di crociera”. Gli utenti non sono più molto attivi, i like decrescono, vi è una minor interazione.
  4. Il gruppo muore. Questa è la fase finale di una struttura che non riesce ad innovarsi e rendersi appetibile. Più raro è il caso di un gruppo che, dopo la fase di stabilizzazione, continua ad aumentare i suoi componenti.

Quali sono i pericoli che possono portare alla morte di un gruppo su Facebook? Io ne ho elencati alcuni.

  • Autoreferenzialità: a nessuno piace uscire con il primo della classe che condisce la conversazione di “io io io io..”. Figuratevi partecipare ad un gruppo che pubblica solo notizie inerenti al proprio ambito.
  • Scarsa qualità dei contenuti: non basta infatti condividere informazioni, ma bisogna anche trovarne di interessanti e fresche.
  • Poca interazione fra gli utenti: stimolare il dibattito è un’arte più complicata di quanto si possa credere. Riuscire a farlo online è poi un elemento di ulteriore difficoltà. L’utente si chiede “Perché devo spendere il mio tempo qui?”. Bisogna creare collegamenti e dialogo fra persone che possono provenire da ambiti diversi ma sono accomunate da uno stesso interesse.
  • Utilizzo improprio del mezzo: Una volta avevo aderito ad un gruppo che dal nome e dalla descrizione si proponeva di parlare di tecnologia e geek news. Dopo poco mi sono ritrovata sommersa di post riguardo a offerte promozionali, vendita di computer e accessori. Scappare è stato un attimo: vuoi per la frequenza delle comunicazioni (eccessiva e fastidiosa!) vuoi perché la sensazione di essere presi in giro era bruciante. Mai tradire le aspettative dell’utente per accalappiarsi un like! 
  • Errore di progettazione/ posizione: uno sbaglio comune e piuttosto evitabile. Basterebbe riflettere sulla struttura del gruppo Facebook per capire che si adatta bene per certi scopi e per altri meno. Se dovete creare una rete di contatti per pubblicizzare un meeting, una serata,  o qualsiasi cosa dalla temporalità limitata a mio parere sarebbe più opportuno creare un evento. Se dovete sponsorizzare un prodotto, un marchio o un personaggio è ideale la gestione di una pagina fan.

Conoscere il mezzo ed usare quello più appropriato risolve il 60% dei problemi nel campo della comunicazione.  Del resto per uccidere una zanzara voi non gli sparate mica con un cannone no?

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Lavorare nei Social Media: quali sono i valori necessari?


Ad un medico chiediamo che sia serio e professionale. Ad un docente che sia preparato e comunicativo. Ad un creativo che sia brillante ed originale. Esistono delle qualità che sono specifiche di alcuni profili professionali. Stessa cosa si può dire dei valori, se non proprio quelli generali, quantomeno quelli specifici.

Tutti vorremmo un ambiente di lavoro sano, positivo, creativo e costruttivo ma, soprattutto in periodi di crisi come quello che ci troviamo ad affrontare, il rischio che si corre è che più di trovare compagni di squadra ci si trovi su due fronti opposti, pronti a spararsi l’un l’altro.

Amo lavorare in team soprattutto quando le persone con cui collaboro sono competenti e posso imparare da loro qualcosa. E questo è uno dei lati belli del fare social media management.

Ma se siete davvero sfigati e potreste finire in un ufficio dove il capo pensa al Social Media Manager come ad una creatura fantastica dotata della capacità di gestire dalla grafica del sito web alla community, dalle digital PR all’ Ufficio Stampa. Insomma: un jolly!

Positivo o negativo? Dipende da come lo si vive, dal vostro grado di preparazione, dalle aspettative che avete e che gli altri hanno di voi e del vostro ruolo.

Navigando oggi ho trovato questo schema: rappresenta in breve i valori per lavorare bene in squadra. e credo che possa essere molto valido anche per chi si occupa di Social e Web


Pensate che sia esaustivo? Voi aggiungereste o togliereste qualcosa?

Se come me vi ritrovate in ognuno degli otto cerchi… Allora direi che è il caso di cominciare una collaborazione!

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Comprati un mazzo di followers, che poi ti do i soldi


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La frase vi suona familiare? Allora anche voi, come me avete sentito questa canzone di Dente, un simpaticissimo cantautore italiano che ho conosciuto qualche anno fa. Oggi voglio fargli un piccolo omaggio rubando e parafrasando una delle sue strofe (sempre estremamente ironicopoetiche!) per aprire un breve post sul mercato nero dei followers.

Nessuno di noi è nato ieri sotto il cavolo e il fatto che alcuni brand, vip e personaggi politici avessero un numero di fans che cresceva a dismisura avrebbe dovuto renderci sospetti. Di recente però questo argomento è salito alla ribalta e pochi minuti fa ascoltavo in radio che addirittura la più alta autorità religiosa dell’Islam ha dichiarato peccaminoso comprare followers per Twitter,Instagram e gli altri i social network.

In rete ho trovato questo articolo interessante di Michele Caivano che spiega in maniera semplice la famosa questione di  Grillo e Camisani Calzorali. In pratica si potrebbe usare la variabile temporale come metodo intuitivo per comprendere se ci sia stato o meno l’acquisto di followers. Quando si comprano dei seguaci c’è  una impennata abnorme registrata dal TwitterCounter. Posso spiegartelo con un esempio semplice semplice. Mettiamo che tu stia seguendo una dieta e che, di nascosto dal tuo dietologo, decidi di darti alla pazza gioia mangiando 10 kg di cannoli. Ammesso che tu resti vivo, dopo una settimana, quando il medico ti peserà, noterà un’impennata di 5 kg in più e, a meno che tu non sia incinto/a comprenderà che hai barato perché hai preso troppo peso in troppo poco tempo.

Questo mi sembra un buon metodo, anche se aggirabile. Basterebbe infatti mangiare un cannolo al giorno e fare un po’ di esercizio che non se ne accorgerebbe nessuno. Insomma… quasi!

Se però siete convinti e  volete darvi al lato oscuro mangiatevi tutti i cannoli che volete e affidatevi alle nascenti agenzie che vendono pacchi di seguaci per una cifra molto abbordabile e promettono risultati in pochissimo tempo come Let Us Follow.

Non vi convince? Proviamo allora con Ebay, il sito maggiormente conosciuto per comprare e vendere qualsiasi cosa.Vuoi mettere che non ci siano? Bingo! Ecco qui i risultati.

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Al modico costo di 49,90 euro (cioè meno di quello che spendo per un paio di scarpe!) potrò avere ben 50.000 nuovi, brillanti, lucidi e preconfezionati adepti. Come vedete il venditore è molto affidabile e se volete saperla tutta c’è anche la possibilità di recesso dell’oggetto.Ma non spaventatevi! Se non siete in vena di avere molta compagnia o non volete spendere così tanto  bastano 14,90€ per averne 15.000. Vi costa quanto una pizza, ma almeno sarete pieni di amici con cui condividere i vostri memorabili quote e gli scatti dei piedi su Instagram.

Sono ironica e ci scherzo sopra ma non voglio demonizzare la pratica.  Mi piacerebbe  invece che, dietro questo contrabbando, nascesse una nuova visione. Ad esempio io followers, mi faccio “comprare” a patto che, l’azienda che mi vende, mi assicuri la qualità di chi mi acquista.E, perché no, il prezzo al quale mi vendo, potrebbe anche variare da persona a persona, da brand a brand. Ma per favore: non chiamatela prostituzione sociale!

Io  per seguire una come Barbara D’Urso mi farei pagare perché ogni sua fesseria che mi passa sotto il naso mi muoiono due neuroni e il terzo lo devo ricoverare in terapia intensiva. Sono costi che sostengo! Per non parlare della psicanalisi a seguire!

Se al giorno d’oggi c’è chi viene pagato per tatuarsi un logo e diventare una icona vivente, perché gli utenti non dovrebbero venire pagati, o quantomeno, ricevere qualcosa in cambio, da chi sostengono? 

Vuoi vedere che è la volta buona che “fare il follower” diventa un lavoro?

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Tipi da spiaggia e Social: tu quale sei?


Non potevo decisamente farmelo scappare! Dopo anni di osservazione posso finalmente affermare di aver fatto una classificazione abbastanza convincente di alcune tipologie umane sotto l’ombrellone. Che voi passiate il Ferragosto sulla spiaggia caraibica o in un lido di Fregene sappiate che loro vi circondavo, vi guardano e vi… condividono. O quantomeno: potete correre il rischio di ritrovarvi online senza essere stati avvisati ( pensate se magari il Social Maniac in questione è vostro amico e vi tagga in tutti i luoghi e tutti i laghi!). Ecco una serie di piccoli quadretti da vacanza: ne riconoscete qualcuno?

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La leoparda: generalmente donna, ma anche uomo, con procace costumino animalier. Passa il suo tempo a leggere riviste di gossip, chiacchierare rumorosamente con l’amica sugli ultimi sbattimenti da lavoro, la vita sentimentale delle conoscenti, e altri scoop da provincetta. Somiglia a Facebook: onnivora, rindondante, a volte eccessiva. Ma non riusciamo a farne a meno.

Il marito: stravolto sotto il solleone, panciuto e servizievole. Risponde in meno di 140 caratteri a tutte le richieste da “mi spalmi la crema” a “porta Fifì a fare una passeggiatina”. Lo eleggo icona di Twitter  per senso del dovere e capacità di sopportazione.

Il lavoratore: lo riconosci perché il suo cellulare suona ogni 15 minuti e lui risponde, annuisce e conclude dicendo “Ok, quando rientro in ufficio sarà la mia priorità”. Non riuscirebbe a staccarsi dalla scrivania e dagli amenicoli tecnologici nemmeno se uno squalo bianco lo attaccasse. Ipad, cellulare, netbook Ipod, kindle. Per lui la vacanza è un apostrofo rosa fra riunione e promozione. Linkedin direi che gli calza a pennello!

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Big Foot: se ha lo sguardo in basso non è perché triste o umilato ma perché si sta fotografando i piedi per poi correre a mettere lo scatto su Instagram. D’estate del resto si sa, i gattini non tirano tanto quanto l’immagine del pollicione vicino ad una lattina vuota con lo sfondo del mare di Ostia.

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Esploratore: ha uno scopo nella vita: sbloccare tutti i badges di Foursquare. A quanto pare ne hanno avvistati ancora alcuni esemplari intenti a sollazzarsi per le vie di Londra alla ricerca di quelli preziosissimi dei Giochi Olimpici. Se ne trovate uno appiccicategli sulla testa un francobollo e cercate di rispedirlo al mittente.

Occhio al vostro vicino d’ombrellone quindi: potrebbe non essere un maniaco o un serial killer, ma un serial social (che a volte è anche peggio!)

Buone vacanze!

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L’onore dei vinti: Alex Schwazer e la colonna Traiana


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In questi giorni ho tenuto per me le considerazioni sulla vicenda di Alex Schwazer, lo sportivo azzurro incriminato per doping. Ho voluto lasciare che i media e i social si scaraventassero con tutta la loro veemenza (positiva e negativa) su questo mio coetaneo, atleta olimpico e volto di un prodotto molto commerciale per ragazzi e famiglie.

In tutta onestà ho sentimenti contrastanti per lui. Provo un senso di compassione per un uomo che non riesce a reggere i ritmi massacranti dello sport system, ma provo anche indignazione nel pensare che proprio un giovane, uno che magari si sarà trovato a pensare “io quella roba non la prenderò mai!” ci sia caduto.  Quello che però più mi sdegna sono le considerazioni che stanno saltando fuori sul presunto senso di inferiorità che Alex avrebbe avuto nei confronti della fidanzata Carolina Kostner, stella del pattinaggio sul ghiaccio e campionessa pluripremiata.

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Mi chiedo: possibile che quando un uomo crolla non ci sia miglior spiegazione che attribuire il suo fallimento ad una fidanzata/moglie troppo ingombrante? Bisogna mettere in chiaro che più che un uomo che non sa reggere la competizione con i successi della sua ragazza il problema è un uomo che non sa reggere i suoi insuccessi personali, non accetta i suoi limiti o quantomeno la società non gli permette di viverli serenamente.

Quando siamo abituati a vedere vincere qualcuno sempre ci aspettiamo che il suo alto rendimento continui all’infinito. Una caduta, una buca, una sconfitta, sono momenti che la nostra società etichetta come ignominiosi e aberranti. Soprattutto se sei uno sportivo. E’ successo così anche per la Pellegrini, silurata appena fuori dall’acqua dai giornalisti dopo le sue non eccellenti performance.

Insegniamo ai nostri ragazzi la competitività, il raggiungere gli obiettivi, il lottare per il podio: ma abbiamo perso il rispetto dei vinti. Una lezione che un popolo di vincitori come gli antichi romani hanno promulgato attraverso le loro opere d’arte scolpendo, nei loro bassorilievi, vinti e vincitori con le stesse dimensioni fisiche.

Inoltre stiamo dimenticando sempre di più che perché ci sia un primo posto, nelle gara è necessario che ci sia anche un ultimo, che ha comunque combattuto fino alla fine.

E per Alex? Spero davvero che questo ragazzo si riprenda la sua vita, più che la sua vittoria.  

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La fata turchina è una stronza.


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Me ne sono convinta stanotte mentre, sulla sdraio in balcone, meditavo sulle mie vicende sentimentali degli ultimi 10 anni. Perché è così: in ogni storia che si rispetti, dove tu stai morendo d’amore dietro un imbecille che manda segnali contrastanti, c’è una amica/confidente/sorella/cugina che ti alimenta false speranze con il fatidico

“E se invece volesse dire che…”

Mai frase peggiore, dopo l’invocazione a Belzebù, uscì dalla bocca di un essere umano. Da quelle sei misere parole messe una dietro l’altra prendono fiato e respiro tutte le giustificazioni possibili.

Se non ti chiama allora vuol dire che ha finito i soldi nel cellulare e non che magari non gliene frega nulla. Se non si fa sentire allora vuol dire che sta prendendo tempo per riflettere, allora vuol dire che ci tiene sul serio alla vostra relazione, allora vuol dire che c’è ancora speranza. Ve lo dico io: ne ha ammazzate di più “l’ allora vuol dire che…” rispetto a tutte le truci sofferenze d’amore.

Ma non sempre l’aspetto giustificativo viene da qualcuno al nostro fianco. Il peggior nemico è all’interno e fa capolino ogni qual volta tramutiamo la sua assenza a cena con la peripatetica “poverino, ha tanto lavoro”. E tutto questo perché il gene della (falsa) speranza ce l’ha messo in zucca quell’idiota della Fata Madrina.

Cosa ne sarebbe stato se Cenerentola non avesse avuto alcuna possibilità di andare al ballo? Probabilmente avrebbe pianto tutte le sue lacrime e dopo un po’ se ne sarebbe fatta una ragione. Si sarebbe messa sul divano, mangiato una canoa di gelato al cioccolato, addormentata stringendo un cuscino per un po’ di mesi. Poi magari avrebbe conosciuto un altro giovane, un contadinello, un paesanotto, uno scudiero. E si sarebbe innamorata di nuovo, forse non di un principe, ma di qualcuno che l’avrebbe amata anche senza abito da sera e scarpetta di cristallo. Senza acconciatura, senza carrozza e senza limiti d’orario. 

Perché è così che dovrebbe essere l’amore. Senza trucchi e senza forzature. Senza obblighi e senza illusioni ma soprattutto senza scuse.

A volte avere un aiuto non è poi così tanto d’aiuto, soprattutto quando l’unico sostegno che può dare è la magra consolazione di alimentare l’idea una meta irrealizzabile. Meglio una notte di pianto o un sogno a tempo determinato?  A voi la scelta. Sono sicura che ciascuno nel suo cuore, conosce già la risposta.

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