OilProject: siate curiosi, siate collaborativi.


Lo ammetto: è stato difficilissimo tenere la bocca chiusa sul progetto a cui ho dato il mio piccolo contributo nell’ultimo mese. Adesso posso svelarvi tutto: sto parlando di OilProject, una scuola online gratuita dove chiunque può imparare e proporre le sue lezioni.

Sono particolarmente felice di aver partecipato a questa avventura perché in OP rivedo tutto ciò in cui credo: condivisione, amore per la conoscenza, per le nuove tecnologie, interazione, sviluppo, partecipazione. Perché in Oil non ci sono insegnanti e alunni, ma solo persone che vogliono dare e collaborare, seguendo quella teoria del dono a me tanto cara.

Qualche tempo fa ho avuto la possibilità di leggere questo post che raccontava la storia di  un blog che è diventato Università. Anche io negli anni dell’Università ero nel team di un sito dove gli studenti mettevano a disposizione il materiale delle lezioni, appunti e registrazioni. Tutto gratis. Ma a pensarci adesso non avevo veramente la concezione che, quasi dieci anni dopo, un’idea così sarebbe potuta diventare “qualcosa di più” che un semplice passatempo.

Oggi approfittando del giorno di iSchool, il nuovo sito di OilProject è stato messo online. In breve i profili social sono stati tempestati di messaggi di gratitudine, complimenti e interesse. Il piccolo Oil non è ancora adulto ma già è benvoluto. Ma perché è così importante?

A rifletterci bene è strano come, fra tutte le cose che siamo riusciti a modernizzare, la scuola e l’istruzione siano rimaste a sistemi molto poco digitali. Ma soprattutto è ancora alto il numero di chi per svariate ragioni non ha accesso all’istruzione. Anche  il tasso di analfabetismo tecnologico è rilevante: non credo di essere l’unica ad avere una mamma che preferisce ancora la carta e la penna al pc. Per non parlare dei metodi di insegnamento.

Spezzo una lancia in favore di alcuni docenti: dopo una ricerca posso affermare che online sono parecchi i blog didattici che offrono materiale di qualità, ma è come se una vecchia resistenza di fondo impedisse alla scuola di evolversi. E questo non significa solo avere apparecchiature migliori e all’avanguardia ma anche instaurare relazioni con il territorio, gli enti e le associazioni, comprendere il valore che le aziende hanno da fornire, creare un ponte fra scolarità e mondo del lavoro, e offrire agli alunni un tipo diverso di apprendimento basato non solo sul sapere, quanto sul saper fare.

Una scuola che accumula nozioni sterili avrà sempre la peggio rispetto ad una scuola che regala apprendimento emozionale, esperienze ludiche e didattiche e che consente a ragazzi e bambini, di imparare dal mondo e spendere quel sapere per il mondo. Dovremmo dirci l’un l’altro  “hai un cervello, delle capacità, ed è giusto che tu le metta a servizio di tutti”. Il sapere non può e non deve essere fine a se stesso.

Ecco perché fra tutti i progetti a cui ho scelto di dedicarmi OilProject merita un posto speciale nel mio cuore. Ho conosciuto personalmente i ragazzi che sono stati chini giorni interi a lavorarci su, e oggi il me bambina che arrancava davanti alle espressioni di algebra e il me adolescente che annaspava spiegando il moto del pendolo, li ringraziano profondamente.

Siate furbi: raccogliete l’opportunità di imparare. E se andando con la memoria indietro nel tempo inorridite al solo pensiero di quell’interrogazione di biologia andata male o di una bocciatura che vi scotta tutt’ora… prendetevi la vostra rivincita. C’è una sola regola che vale su OilProject (e anche al di fuori se volete): siate curiosi, siate collaborativi.  

Pubblicato in Attualità Media & Società, Social e News tecnologiche, Tutto ciò che puoi avere gratis | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 1 commento

Social e Augmented Reality: la comunicazione cambia codice.


Si apre il sipario sulla Settimana della Comunicazione a Milano e ho deciso che, per quanto potrò, cercherò di fornire i riassunti degli incontri a cui sarò presente. Il calendario è davvero denso di appuntamenti e ieri pomeriggio sono stata allo IED di Milano dove si è tenuto l’incontro su La realtà aumentata: nuovo modo di fare comunicazione.

A presiedere Domenico di Paola (ARWine& ARSpot), Ugo Benini (TheVortex) , Fabio Zinesi (GCode) e Daniele di Lorenzo. Il discorso è partito da una breve definizione di AR intesa come la possibilità di aggiungere contenuti virtuali ad ambienti circostanti grazie all’uso di posizionamento GPS o di marker. Un aggancio è stato fatto con i QR Code che, pur non rappresentando in pieno l’AR, consentono all’utente di recepire informazioni più disparate in merito al prodotto che sta visualizzando.

E qui apriamo una parentesi: l’italiano medio ha ancora delle difficoltà notevoli a rapportarsi con i QR causa probabilmente della mancanza di un prodotto nativo negli smartphone. Nella maggioranza dei casi quindi si accede alla fotocamera e la si punta sul codice traendone una certa insoddisfazione quando non accade nulla.

Come possono i QR code aiutare chi si occupa di social e di marketing? Sono stati citati i casi più noti (Victoria Secrets e Calvin Klein in testa)

ma quello che senza dubbio mi ha più colpito è stato l’utilizzo che ne ha fatto DIESEL  ed il loro video

L’idea è semplice: portare il like nella vita reale, condividere l’esperienza con la community e raccogliere interesse intorno al prodotto. Ma il vantaggio è tutto dalla parte del brand che tramite l’interazione può conoscere il target di riferimento, le sue preferenze, la geolocalizzazione, i commenti e molto altro. Una notevole spinta quindi per il business sia delle piccole che delle grandi aziende, dotate finalmente di uno strumento di analisi di mercato efficace e dettagliato.

Ma la realtà aumentata può anche semplificare la vita, istruire ed informare. Un esempio è l’app Happy Museum, realizzata per regione Marche che permette non solo di avere contenuti di qualità rispetto alle opere presenti, ma aggiunge un’interessante Caccia al tesoro con un divertente effetto gamification nella vita reale.

Quali sono i vantaggi quindi della realtà aumentata e perché un’azienda dovrebbe usarli nel suo piano di comunicazione?

  • Usabilità: una volta capita la modalità l’utente può facilmente accedervi da solo.
  • Bassi costi: fino a qualche anno fa le campagne di questo genere prevedevano grossi limiti economici. Oggi si possono realizzare a prezzi nettamente inferiori.
  • Socializing: sempre di più un piano di comunicazione non può prescindere dall’engagement sui social network, sia per consolidare la community che per ricevere nuovi partecipanti.
  • Interconnessione al contenuto: Augmented reality non significa perdere di vista il mondo concreto, anzi, migliorarlo (proprio come succede in Korea dove i supermercati vanno dalle persone… e non viceversa!)

Infine se volete far crescere il vostro business vi consiglio di tenere d’occhio l’app Pickalike. L’idea alla base è quella di ricreare l’esperienza del Like di Facebook nel mondo reale con un apposito QR Code che può essere facilmente esposto. L’app è collegata al network e potrebbe interessare soprattutto i social media workers che gestiscono fanpage, aiutandoli ad aumentare il numero dei fans.

Scusate… chi aveva detto che i social avrebbero creato dei lobotomizzati distanti dalla reatà!?

Pubblicato in App, Attualità Media & Società, Social e News tecnologiche | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 2 commenti

Quanto vale il tuo lavoro


Sarà successo a tutti, magari durante una chiacchierata informale, di sentirsi rivolgere la domandaMa tu per un lavoro del genere quanto vuoi? . In passato ammetto che, molte volte, ho lavorato per amici e conoscenti in modo  gratuito, e qualche volta, di fronte ad un datore di lavoro che tardava nei pagamenti, ho provato un senso di vergogna nell’andare a chiedere ciò che era la mia retribuzione. Tempo dopo ho capito che il mio comportamento non solo era negativo per il mio portafoglio e per la mia professionalità ma danneggiava anche gli altri.

A proposito della discussione nata intono ai blogger di Huffington Post non retribuiti ho letto  questo post di Carlo Gubitosa che cito

anche a me e’ capitato di scrivere gratis per questo maledetto prurito alle mani che mi perseguita da una ventina d’anni […]Ma poi ho cominciato a interrogarmi sulla responsabilità sociale delle mie azioni.  E sono arrivato alla conclusione che i ragionamenti […] che purtroppo ho fatto anche io in passato, hanno fatto crollare il valore della professione giornalistica negli ultimi 5 anni da 100 euro a pezzo (quanto prendevo io nel 2003 per scrivere articoli da freelance sul sito di un grande gruppo editoriale) a zero.

Mi ritrovo a condividere molto del ragionamento e più ancora mi ritrovo a condividere l’amarezza nel considerare la svalutazione di una professione e di un’intera categoria.

Stamattina mi confrontavo telefonicamente con un amico perplesso sul prezzo da comunicare ad un’azienda per un lavoro commissionato. Dopo aver ascoltato le richieste del datore e aver sentito il preventivo che gli stava proponeva la domanda che non sono riuscita a trattenere è stata “Ma perché ti stai svendendo così?!

E adesso lo confesso: io ho una paura. Quella che in questo mercato dove vengono richiesti in continuazione siti, contenuti, articoli di giornale o recensioni noi perdiamo di vista la qualità del nostro lavoro e l’amore che ci mettiamo nel farlo, impegnati come siamo nel venire incontro a chi ci allunga un’offerta come un tozzo di pane caritatevole. Per la necessità di lavorare si chiude un occhio, si stringe la cinghia, si lavora gratis in cambio della futura visibilità.

Ma la realtà dei fatti è che se lavori gratis (o anche a pagamento) dietro di te ce ne sono cento altri pronti a prendere il tuo posto (e a lavorare gratis pure loro!) quando il tuo capo ti sbatterà fuori perché anni dopo hai chiesto il minimo sindacale. La visibilità è una bella cosa ma non paga le bollette, la spesa al supermercato o l’affitto. E soprattutto la gratuità non fa il bene di nessuno: né di chi lavora a pagamento svilendo il mercato, né di chi lavora gratis perché crea competizione inutile, una guerra fra morti di fame.

Conosci il detto Il tempo è denaro? Perché il tuo tempo non dovrebbe esserlo? Non stiamo parlando di stipendi milionari al primo incarico, sia chiaro. Stiamo parlando di una situazione dove tu fatichi e ti impegni ed è giusto che in cambio ne ottenga qualcosa. “Certo, mi obietterai, posso avere la visibilità.” Ma guardiamoci in faccia: quanto pensi che possa stare il tuo post sulla prima pagina dell’Huffington!?

“Ma potrò scrivere sul curriculum un sacco di esperienze!” ribatterai (ad esempio blogger per Huffington Post) Certo. Salvo poi il giorno in cui saprai che a quel colloquio di lavoro a cui tenevi tanto sei stato scartato perché il tuo profilo era “troppo elevato per la posizione ricercata” o addirittura “poco allineato” o “troppo caro”. Eh già, perché mica loro lo sanno che mentre scrivevi per Huffington (e altri 10 testate/siti per fare esperienza) nessuno ti ha mai retribuito e per te la busta paga è come l’Araba Fenice. Però che vuoi: hai un CV di 7 pagine!

Adesso ti svelo un segreto: farti pagare non è un reato e nemmeno una vergogna.  Se guardi indietro alla storia dell’umanità ti renderai conto che gli unici che lavoravano senza retribuzione erano gli schiavi d’Egitto (che pure avevano almeno il vitto quotidiano!).  Pensa in modalità “idraulico”: di quelli che anche solo per venire in casa, dare un’occhiata e capire da dove perde il lavandino si fanno dare 30€. Se poi vuoi estremizzare il concetto impara dal lavoro più vecchio del mondo: la prostituta. La tua arte può darti tutto il piacere che vuoi ma la prestazione va retribuita.

Se poi proprio non riesci a chiedere dei soldi o il datore di lavoro non può permettersi di pagarti valuta almeno l’opzione benefits, sconto o baratto. Buoni pasto, ticket trasporto, o anche solo la possibilità di avere convenzioni con negozi o attività commerciali con cui la tua azienda è collegata rappresentano  una fonte di risparmio e ti rendono un po’ più motivato aumentando la qualità del tuo operato.

Non ringrazierò mai abbastanza uno dei miei capi per avermi aperto gli occhi con queste parole  “Sei la nostra Social Media Manager: il tuo benessere psicologico e personale è anche il benessere della mia azienda, quindi mi ritengo responsabile nell’avere cura di te”.

Rifletteteci e capirete che è una frase profondamente vera, basata sul fatto che i lavoratori, quindi voi e quelli come voi, sono il cuore pulsante dell’attività. Siate quindi furbi, coscienti e coscienziosi: non fatevi sfruttare inutilmente e soprattutto non create nuovi schiavi. E buon lavoro!

Pubblicato in Attualità Media & Società, Lavoro | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 14 commenti

Chi ha bisogno dei martiri dell’informazione


Non voglio scrivere un post su Sallusti e la sua vicenda. In rete in queste ore c’è così tanto materiale che sarebbe superfluo, inutile e ridondante.

Leggo di tanti colleghi giornalisti, aspiranti tali, gente che si occupa di carta radio e tv, preoccupati per la sentenza del giudice che lo condanna a 14 mesi. Diciamo la verità: non che Sallusti sia il genere di persona che tutti amano e che inviteresti a casa tua al pranzo della Vigilia di Natale!

Poi c’ho riflettuto e sono andata a cercare l’articolo incriminato. Leggiamolo con attenzione: se lo avesse scritto un esordiente, un galoppino o un poveraccio qualunque questo pezzo sarebbe stato letteralmente dilaniato da qualsiasi direttore con un po’ di coscienza in corpo o avrebbe fatto nascere la normale affermazione “Hai le prove di quello che dici?”.

Eh sì, perché il punto non è solo saper scrivere, ma avere anche coscienza di ciò che scrivi e questa è una cosa che un manca in un’epoca dove tutti leggono la timeline di Twitter e ci ricamano articoli, pezzoni o editoriali. (a proposito vi siete persi questi tweet di Francesco di Gesù contro Repubblica)

Detto ciò, alla luce dei fatti che non è stato ancora prescritto il reato di ignoranza, di negligenza o tanto meno quello di incapacità sul lavoro (altrimenti buona parte della popolazione sarebbe dietro le sbarre) la sentenza che condanna Sallusti mi sembra più un esilio forzato.

Il discorso cambia se si valuta che quelle frasi potrebbero essere state messe per gettare benzina sul fuoco su alcuni punti caldi di quel periodo (Magistratura, salute, aborto per le minorenni).

A mio parere bisognerebbe concentrarsi sul fatto che Sallusti non sta andando in carcere per il modo in cui sono stati raccontati i fatti ma semplicemente perché non sta raccontando la realtà dei fatti, che è il primo dovere di ogni giornalista.

La mia opinione è che in galera dovrebbero andarci i ladri, i delinquenti e gli assassini:14 mesi dietro le sbarre per un’idea (anzi, per delle frasi pretestuose!) non mi sembrano un esempio di giusta misura. 

Del resto c’è gente che ha rubato, mentito e fatto di peggio e si candida alle elezioni! 

Pubblicato in Attualità Media & Società | Contrassegnato , , , , , , , , | 7 commenti

Social media e rivolta: l’informazione è solo nei tweet (?)


Esistono immagini emozionali e potenti al pari delle opere di Michelangelo. Huffington Post Spagna stasera ne pubblica una che ritrae un Indignados di Plaza Neptuno.

Ma andiamo con ordine: nelle prime ore del pomeriggio un affollato corteo anima le strade di Madrid.Tutto sembra procedere in maniera pacifica quando verso le 19.00 gruppi di manifestanti cominciano a staccarsi e a dare il via ad azioni di teppismo. Gli eventi prendono una piega inaspettata: la polizia, in tenuta antisommossa, comincia a disperdere i rivoltosi (anche con l’uso di proiettili di gomma). Intanto al grido di “Rodea el Congreso” (“circonda il Congresso”) moltissimi cittadini seduti a terra attorniano il Palazzo dove è riunito in seduta plenaria il Parlamento. Ma cosa vogliono?

Equità sociale, giustizia, tagli all’istruzione, sanità, economia, sono i temi caldi. Gli Indignados accusano la politica di aver fatto comunella con l’economia e, attraverso i media, aver creato un clima di tensione, xenofobia, razzismo e omertà. Chiedono a gran voce le dimissioni  dei responsabili della crisi (del presidente del Governo Mariano Rajoy in primis). Pretendono sanzioni e processi per chi ha trascinato il paese sull’orlo del baratro. Intanto il tempo scorre e la manifestazione autorizzata fino alle 21.00 diventa “fuorilegge”.

E cosa fanno i media italiani? La serata è interamente dedicata allo scandalo Polverini tanto che su Twitter più voci si lamentano e cercano di richiamare l’attenzione

Anche l’ultimo arrivato, Huffington Post Italia, non menziona l’accaduto e molti utenti sono costretti a cercare canali di informazione alternativi 

Dopo qualche ora El Pais pubblica questo video dove si vedono chiaramente le violenze compiute dalla polizia ai danni di persone a viso scoperto e disarmate. Iniziano ad arrivare anche i tweet da oltre manica: l’altra metà del mondo si sveglia e scopre l’autunno caldo del vecchio continente.

Attualmente (è circa l’una di notte) nessuno dei grandi titoli italiani mette in primo piano gli scontri madrileni. Unica voce fuori dal coro è Il Post che dedica una galleria di immagini, anche se non tutte di elevato livello giornalistico. Cosa notare?

Probabilmente da noi manca ancora quel progetto editoriale e mediatico che svisceri e sveli il delicato rapporto di causa-effetto attorno ai fatti che accadono nel mondo.In un’epoca dove ci ostiniamo a dire di essere tutti connessi è davvero triste notare come nel concreto i media di casa non guardino “più in là del loro naso”.

Ecco allora venir fuori una delle qualità migliori dei social network: quella di poter essere a Madrid, oltre le barricate, dentro Plaza Nettuno, con gli Indignados. Quella di poter tastare il polso della situazione minuto per minuto, conoscere, sapere, anche quando i canali ufficiali hanno la vista offuscata e i giornali non rivolgono che un trafiletto. Le televisioni intanto diventano archibugi goffi e complicati, giganti dal passo lento in un mondo digitale messe anch’esse sotto accusa. E su questo c’è davvero molto da riflettere.

 

Pubblicato in Attualità Media & Società, Social e News tecnologiche | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 4 commenti

A chi non piace l’Huffington Post


Il web accoglie una nuova creazione made in America che ha avuto molto successo: da ieri sera è possibile leggere Huffington Post Italia. Per chi non lo sapesse Huffington Post è un progetto editoriale statunitense creato da Arianna Huffington , Kenneth Lerer e Jonah Peretti, apprezzato in tutto il mondo e noto ai più per la sua strategia mediatica incentrata sul sistema blog e sui blogger. Le firme che collaborano sono fra le più famose (in America da Obama a Madonna, in Italia a quanto pare leggeremo Tremonti), la forma con cui si presenta online è senza dubbio snella ed efficace.

Ciò che non mi è piaciuto è stato il saluto di Arianna Huffington comparso ieri sera. Il suo “benvenuto”, confidenziale e informale, ma a mio parere marchiato di un vago e sibillino senso di superiorità. Fra le righe compaiono i classici stereotipi degli italiani  “la gente ti offre sempre qualcosa da mangiare e nulla è mai puntuale.”  oppure  “amo la tradizione italiana del riposo – ossia quel momento della giornata, nel pomeriggio, in cui i negozi e gli uffici chiudono – e della “passeggiata”, l’usanza di fare due passi la sera”. Apprezzabile che la signora Huffington sia così vicina ai nostri costumi locali ma le vorrei ricordare che non siamo un gruppo di indigeni cannibali che hanno bisogno dell’alfabetizzazione digitale proveniente dall’America ( oppure sì?) e che nel nostro paese vantiamo (oltre a pizza e mandolino!) una tradizione giornalistica non indifferente.

L’idea che non mi piace è riportare un prodotto che ha funzionato oltremanica paro paro in Italia con la pretesa di educare tutti a come si scrive e come si tratta l’informazione. Ovviamente non è l’obiettivo dichiarato ma, se questo è ciò che se ne percepisce, allora sarebbe meglio aggiustare il tiro da subito.

A capo del progetto la Annunziata, sulla cui professionalità nessuno discute, ma che prima aveva espresso un punto di vista abbastanza infelice sui blogger (ricordate la frase “I blog non sono un prodotto giornalistico, sono commenti, opinioni su fatti in genere noti; ed è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati”).

Potrà Huffington smuovere le fondamenta dell’editoria, far tremare le penne in mano alla vecchia guardia giornalistica e contemporaneamente avvicinare gli italiani alle notizie, quelle vere, che riguardano il paese? 

In questo momento l’apertura è dedicata ad un’intervista a Silvio Berlusconi molti flash su #Arenata Polverini, politica, qualche scoop e gli immancabili post a firme varie.A vederla così la pagina sembra un enorme condominio dove, guardando il prospetto dell’edificio, il passante può riconoscere l’inquilino dalla finestra e sbirciare cosa combina.

Il post del direttore  è scarno ed essenziale. L’Annunziata parla di un Huffingotn meticcio sottolineando la collaborazione del gruppo editoriale Espresso. E poi c’è la storia dei 189 blogger. Scelti in base a criteri non meglio specificati saranno una manovalanza in continuo aumento. A proposito se volete collaborare con Huffington a questa pagina potete mandare i vostri CV: peccato che l’indirizzo a cui inviarlo in questo momento non esista e le mail tornino indietro (grazie alla segnalazione di Carola Venturini).

La mia prima impressione a meno di 24 ore dall’apertura è quella di un esperimento non riuscito bene come si voleva. Spero davvero di ricredermi in futuro, magari fra una settimana o due quando entreremo in argomenti più delicati.

Intanto resta a tutti gli esperti e studenti di comunicazione osservare l’evoluzione di questo strano ibrido, una sorta di Minotauro digitale, che promette di mixare la velocità del web con lo spirito di ricerca e obiettività giornalistica. Sarà l’ennesimo flop o gli italiani, complici le tecnologie, decideranno di usufruire di un nuovo media?

Aggiornamento: a quanto leggo da più voci online e da questo articolo di Rudy Bandiera i blogger di Huffington non vengono retribuiti. Non voglio gridare allo scandalo ma fornire, in coda alla mia breve analisi, uno spunto di riflessione.

Nel suo post Rudy sostiene che avrebbe scritto per Huff anche gratis in cambio di una visibilità che nel tempo sarebbe diventata fatturato. Ma chi può permettersi di fare questo deve avere alle spalle un minimo di tranquillità economica che gli consenta di compiere questa scelta. Non tutti, soprattutto i giovani, possono farlo, e questo non perché siamo attaccati all’idea del denaro o del posto fisso o di chissà cosa. Semplicemente abbiamo delle spese come tutti e un lavoro  dignitoso dovrebbe avere un minimo di retribuzione se non altro per pagare la corrente elettrica consumata dal portatile e una connessione. 

Perdonatemi Rudy, Arianna e Lucia ma questa storia della visibilità in cambio di contenuti, del fai perché un giorno ti sarà utile, deve essere vista nell’ottica di ciò che è: manodopera gratuita che non costa niente e sforna carne da macello. Crea in chi comanda l’aspettativa che, se lo fai a costo zero, allora vale meno di zero.  

Scrivere gratis può essere un interessante hobby, un bel passatempo, una gavetta agli inizi. Ma il lavoro, quello per cui accedi al tasto “invia il tuo CV” dovrebbe avere un trattamento diverso sia dal punto di vista umano che sociale che economico. Altrimenti non si chiama lavoro: si chiama volontariato.

Pubblicato in Attualità Media & Società, Social e News tecnologiche | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , | 20 commenti

Se i Social Network mettono i bastoni fra le ruote alla politica


In pieno clima elettorale chiunque aspiri ad una poltrona di qualsiasi ordine e grado è costretto a confrontarsi con la realtà del web 2.0. Non basta più la comparsa in televisione, il comizio in piazza o l’intervista in radio per ottenere le luci della ribalta. Oggi non c’è campagna elettorale che possa distaccarsi dalla necessità di una presenza sui social network.

In Italia possiamo dire che questo aspetto è realizzato ancora in modo piuttosto confuso e fumoso. A fronte dei politici che hanno instaurato una sorta di presenza online (come Formigoni,  Alemanno e Pisapia) quando si parla di elezioni sembra che non ci sia un chiaro codice di comportamento. Twittare o non twittare!? Questo è il dilemma!

Il problema più grave può essere sintetizzato in poche parole: il politico crede ancora che Facebook e Twitter siano gli speaker corner e ciò lo porta ad una campagna di comunicazione a senso unico.

Tralasciando i flame su Twitter (ricordate il disastro di Alemanno?), l’utilizzo ai limiti della legalità delle newsletter (a Catania le mail degli studenti sono state usate impropriamente per la campagna elettorale di una candidata) e il volantinaggio selvaggio gli utenti hanno pensato di prendersi una bella rivincita.

Da qualche tempo potete seguire su Facebook gli aggiornamenti della pagina Pecore Sicule di Salvo Grillo, che lungi dal parlare di latticini e formaggi, pubblica le foto dei futuri papabili con in chiaro la loro fedina penale.

A questo progetto do il plauso di aver avuto due buone idee. La prima è l’utilizzo attivo dei social network: gli utenti possono caricare le foto nella pagina, commentare, e scambiarsi opinioni. Molti aggiungono informazioni sulle magagne dei rappresentati, magari dettagli di anni precedenti, difficili da recuperare senza la memoria storica dei cittadini.

La seconda è l’aver scelto Facebook puntando sia sull’elevato numero di utenti ma anche sugli strumenti che offre: le immagini  possono essere condivise ed in brevissimo fanno il giro del web battendo spesso la cartellonistica degli stessi candidati. E’ apprezzabile anche l’intervento di moderazione: nonostante scorra la pagina al momento non trovo linguaggio scurrile o improprio.

Attualmente i candidati non sembrano essersi mossi o essersi resi conto di questo pericolo. Intanto Salvo Grillo incoraggia i cittadini e continua il suo gioco informativo dichiarando dalle pagine di CitiZen  «Se qualcuno vede foto di personaggi poco affidabili che le mandi pure, le pubblicherò tutte». Per farlo ha messo a disposizione il suo contato Facebook.

Cosa sta succedendo alla politica italiana? Come i Social Network stanno influenzando le opinioni dei lettori? Siamo ancora tanto distanti dalle campagne di Obama, dei conteggi, dagli esperti che cercano di percepire dall’odore dei social se ci sono speranze per i loro pupilli. E’ positivo però riscontrare che l’informazione comincia a muoversi dal basso e gli elettori  assumono un ruolo meno passivo. Se tutto ciò porterà ad un miglioramento della scena politica ce lo diranno solo le urne.

Pubblicato in Attualità Media & Società, Social e News tecnologiche | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 1 commento

Twitter: alle aziende non piace l’header?


Sono passati pochi giorni da quando Twitter ha deciso di rifarsi il look e molti utenti hanno accettato di buon grado la novità e si stiano sbizzarrendo nel creare la testata più d’effetto o divertente. Pochi invece sono i brand, almeno fino al momento, che hanno modificato l’aspetto della loro pagina con un header ad hoc. Ecco quelli che ho trovato gironzolando online

We Are Social Italia: l’immagine di sfondo è riportata tale e quale. Non un grosso sforzo creativo, ma è apprezzabile che la foto del profilo risulti molto vicina al focus dello scatto: l’abbraccio, un gesto sentimentale e comunicativo.

TodayShow presenta un header mosaico composto da tante immagini più piccole di volti noti e momenti di spettacolo. L’idea è buona ma se messa in contrasto con lo sfondo troppo semplice dai toni neutri fa perdere di carattere all’insieme. Inoltre dovendo rendere leggibili le informazioni sotto il logo è stato necessario oscurare le fotografie per dare risalto al testo sacrificando i colori

SharePress il blog made in India usa la testata per farne una vera e propria dichiarazione di identità. L’uso dell’immagine delle spezie, così legate alla cultura indiana, richiama la diversità dei gusti e sottolinea la molteplicità dei colori. E’ una foto familiare agli utenti, uno scatto di qualità che sembra dire: nonostante parliamo di tech&media siamo vicini a voi, genuini e “reali” come la nostra cucina.

Twitter per concludere l’account ufficiale di Twitter usa l’header declinandolo in una semplice variante di azzurro. Anche qui la brillantezza dei colori viene un po’ sacrificata in nome di un effetto graduale. Nessuno sfondo anima la scena. Minimalista fino all’osso.

Conclusioni che traggo da questa prima carrellata

  1. Il font bianco: avere un solo colore per la scrittura dei testi lo trovo molto limitante. Averli tutti eccessivo. Ma sarebbe stata una buona soluzione di compromesso consentire agli utenti di scegliere almeno fra due tonalità.
  2. Header/Testata: forse perché siamo già abituati alla copertina di Facebook averne una anche su Twitter potrebbe non entusiasmarci. Lungi però da considerazioni di questo tipo sarebbe interessante capire se le aziende potranno usare la testata per promuovere  iniziative di marketing, pubblicità e sconti (cosa che attualmente non è consentito su Facebook). 
  3. Immagini: le foto diventeranno sempre più importanti e saranno la vera chiave di lettura delle identità aziendali. Proprio per questo sarà importante sceglierle in linea con  ciò che si vuole rappresentare ed essere accorti nella selezione per evitare critiche e polemiche. Ad esempio, se fossi un utente particolarmente irritante, potrei fare notare a  We Are Social il fatto che, nella loro foto, non compaia nemmeno una persona di colore o nazionalità differente alla razza bianca.

E voi? Che immagine avete scelto per la vostra testata? Se siete alla ricerca dell’ispirazione vi propongo  questa carrellata di immagini per la testata di Twitter fatte in modo originale!

Pubblicato in Attualità Media & Società, Social e News tecnologiche | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 2 commenti

Fare il blogger è come fare il panettiere.


Avete presente la pubblicità della Mulino Bianco dove Antonio Banderas si arrovella su come creare il pane più buono che ci sia!? Ecco. Io assomiglio ad Antonio Banderas. Non fraintendetemi! Non sono un affascinante uomo bruno dallo sguardo caliente.  Faccio la blogger, attività che nelle mie fantasticazioni associo a quella della panificazione (senza Banderas però).

Vuoi mettere? Quando dici blogger la parola si perde nello sbuffo di fumo di un treno che corre avvolto in nebbie da romanzo noir. Questo lavoro è considerato da alcuni la via di fuga di chi non è riuscito a votarsi con costanza al giornalismo. Un inviato fallito, un mezzo redattore, un copy disadattato. Ed invece chi bazzica il web sa bene quanto dedizione, sacrificio, e costanza ci voglia per imparare a fare bene il pan… ehm un post!

Al contrario i panettieri sono tenuti in gran considerazione. Del vostro direste mai che è un cuoco mal riuscito? Uno chef di seconda classe? Eppure le azioni che compie non sono molto diverse dal cuocere, cucinare, rimestare e impastare

Fornai e blogger lavorano entrambi alle prime ore del mattino. Sanno bene che per un prodotto di qualità devono scegliere le migliori materie prime, setacciarle, lasciare riposare l’impasto e cuocerlo poi al punto giusto. La produzione deve essere invitante e diversificata: da un lato mafalde, rosette, gemellini, filoncini, pane in cassetta, brioches e focacce. Dall’altro news, post, contributi, mail, status,newsletter, aggiornamenti, comunicati, interviste o semplici recensioni.

C’è dell’altro però che accomuna le due parti e che intuirete facilmente. Avete mai mangiato del pane duro? O meglio: come la mettereste se il vostro panettiere vi rifilasse lo sfilatino di tre giorni prima!? E se andaste oggi al negozio potreste chiedergli il pane di dopodomani? Pane e post hanno nella maggior parte dei casi una temporalità ridotta: devono essere consumati freschi di giornata.

Su questo apro una piccola parentesi sullo scheduling ovvero la pratica di organizzare i contenuti per essere divulgati in seguito. E’ una grandissima comodità dato che  tutti gli strumenti di Social Management ne propongono almeno una versione (vedi Hootsuite ma anche Facebook). Il problema maggiore dello schedulare lo riassumo con un grande esempio accademico: Topolino Apprendista Stregone.

Nel film Topolino, preso da manie di grandezza, ruba il cappello del suo Maestro Stregone e crea una scopa magica in grado di sbrigare le faccende domestiche da sola. Quando però si addormenta perde il controllo del suo incantesimo e la situazione diventa irrecuperabile. Questo accade anche ai blogger quando il contenuto programmato viene superato dalle news del giorno, o addirittura diventa offensivo rispetto ad una situazione di disastro o calamità avvenuta in maniera imprevista. Ad esempio molti social media manager si sono trovati a dover cambiare o cancellare gli status delle pagine che gestivano quando sono venuti a conoscenza del terremoto che aveva colpito l’Emilia.

Nonostante gli aggregatori di notizie e i publisher (come Scoop e Paper.li)  non esiste ancora un software in grado di captare le sensazioni della community, le news, gli aggiornamenti e farne un contenuto perfetto pronto da inviare ad un determinato orario. A questo servono  blogger e i social workers.

Demonizzare lo scheduling ? No, ma invitare ad un uso adeguato fatto nel rispetto di chi legge. Del resto se rifili ai tuoi lettori una michetta insipida al posto di un croccante sfilatino stai sicuro che prima o poi ne pagherai le conseguenze.

Nota: Questo post contiene (fra le righe) un omaggio a Italo Calvino di cui oggi ricorre l’anniversario della scomparsa. Non so se Italo abbia mai provato a fare il pane ma di sicuro ha piantato nel cuore della letteratura dell’ottimo grano che continua a crescere. Grazie. 

Pubblicato in Attualità Media & Società, Lavoro, Social e News tecnologiche | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , | 3 commenti