Sarà successo a tutti, magari durante una chiacchierata informale, di sentirsi rivolgere la domanda “Ma tu per un lavoro del genere quanto vuoi? “. In passato ammetto che, molte volte, ho lavorato per amici e conoscenti in modo gratuito, e qualche volta, di fronte ad un datore di lavoro che tardava nei pagamenti, ho provato un senso di vergogna nell’andare a chiedere ciò che era la mia retribuzione. Tempo dopo ho capito che il mio comportamento non solo era negativo per il mio portafoglio e per la mia professionalità ma danneggiava anche gli altri.
A proposito della discussione nata intono ai blogger di Huffington Post non retribuiti ho letto questo post di Carlo Gubitosa che cito
anche a me e’ capitato di scrivere gratis per questo maledetto prurito alle mani che mi perseguita da una ventina d’anni […]Ma poi ho cominciato a interrogarmi sulla responsabilità sociale delle mie azioni. E sono arrivato alla conclusione che i ragionamenti […] che purtroppo ho fatto anche io in passato, hanno fatto crollare il valore della professione giornalistica negli ultimi 5 anni da 100 euro a pezzo (quanto prendevo io nel 2003 per scrivere articoli da freelance sul sito di un grande gruppo editoriale) a zero.
Mi ritrovo a condividere molto del ragionamento e più ancora mi ritrovo a condividere l’amarezza nel considerare la svalutazione di una professione e di un’intera categoria.
Stamattina mi confrontavo telefonicamente con un amico perplesso sul prezzo da comunicare ad un’azienda per un lavoro commissionato. Dopo aver ascoltato le richieste del datore e aver sentito il preventivo che gli stava proponeva la domanda che non sono riuscita a trattenere è stata “Ma perché ti stai svendendo così?!”
E adesso lo confesso: io ho una paura. Quella che in questo mercato dove vengono richiesti in continuazione siti, contenuti, articoli di giornale o recensioni noi perdiamo di vista la qualità del nostro lavoro e l’amore che ci mettiamo nel farlo, impegnati come siamo nel venire incontro a chi ci allunga un’offerta come un tozzo di pane caritatevole. Per la necessità di lavorare si chiude un occhio, si stringe la cinghia, si lavora gratis in cambio della futura visibilità.
Ma la realtà dei fatti è che se lavori gratis (o anche a pagamento) dietro di te ce ne sono cento altri pronti a prendere il tuo posto (e a lavorare gratis pure loro!) quando il tuo capo ti sbatterà fuori perché anni dopo hai chiesto il minimo sindacale. La visibilità è una bella cosa ma non paga le bollette, la spesa al supermercato o l’affitto. E soprattutto la gratuità non fa il bene di nessuno: né di chi lavora a pagamento svilendo il mercato, né di chi lavora gratis perché crea competizione inutile, una guerra fra morti di fame.
Conosci il detto Il tempo è denaro? Perché il tuo tempo non dovrebbe esserlo? Non stiamo parlando di stipendi milionari al primo incarico, sia chiaro. Stiamo parlando di una situazione dove tu fatichi e ti impegni ed è giusto che in cambio ne ottenga qualcosa. “Certo, mi obietterai, posso avere la visibilità.” Ma guardiamoci in faccia: quanto pensi che possa stare il tuo post sulla prima pagina dell’Huffington!?
“Ma potrò scrivere sul curriculum un sacco di esperienze!” ribatterai (ad esempio blogger per Huffington Post) Certo. Salvo poi il giorno in cui saprai che a quel colloquio di lavoro a cui tenevi tanto sei stato scartato perché il tuo profilo era “troppo elevato per la posizione ricercata” o addirittura “poco allineato” o “troppo caro”. Eh già, perché mica loro lo sanno che mentre scrivevi per Huffington (e altri 10 testate/siti per fare esperienza) nessuno ti ha mai retribuito e per te la busta paga è come l’Araba Fenice. Però che vuoi: hai un CV di 7 pagine!
Adesso ti svelo un segreto: farti pagare non è un reato e nemmeno una vergogna. Se guardi indietro alla storia dell’umanità ti renderai conto che gli unici che lavoravano senza retribuzione erano gli schiavi d’Egitto (che pure avevano almeno il vitto quotidiano!). Pensa in modalità “idraulico”: di quelli che anche solo per venire in casa, dare un’occhiata e capire da dove perde il lavandino si fanno dare 30€. Se poi vuoi estremizzare il concetto impara dal lavoro più vecchio del mondo: la prostituta. La tua arte può darti tutto il piacere che vuoi ma la prestazione va retribuita.
Se poi proprio non riesci a chiedere dei soldi o il datore di lavoro non può permettersi di pagarti valuta almeno l’opzione benefits, sconto o baratto. Buoni pasto, ticket trasporto, o anche solo la possibilità di avere convenzioni con negozi o attività commerciali con cui la tua azienda è collegata rappresentano una fonte di risparmio e ti rendono un po’ più motivato aumentando la qualità del tuo operato.
Non ringrazierò mai abbastanza uno dei miei capi per avermi aperto gli occhi con queste parole “Sei la nostra Social Media Manager: il tuo benessere psicologico e personale è anche il benessere della mia azienda, quindi mi ritengo responsabile nell’avere cura di te”.
Rifletteteci e capirete che è una frase profondamente vera, basata sul fatto che i lavoratori, quindi voi e quelli come voi, sono il cuore pulsante dell’attività. Siate quindi furbi, coscienti e coscienziosi: non fatevi sfruttare inutilmente e soprattutto non create nuovi schiavi. E buon lavoro!
oh, concordo. adesso basta. quando ho scritto questa roba:
http://silviabencivelli.it/2011/diciamo-no-al-volontariato/
e poi quest’altra:
http://silviabencivelli.it/2011/il-colpevole-siamo-noi-noi-quei-fighetti-di-lavoratori-intellettuali/
sono stata tormentata dagli insulti. e non ti dico poi nelle assemblee.
ma secondo me l’aria sta cambiando.
forse un giorno dovremmo ringraziare l’annunziata per aver inaugurato la riflessione su ampia scala, e per averci costretto a parlarne davvero.
PROLETARI, GHOST WRITERS, E ILLUSTRATORI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI! NON AVETE DA PERDERE CHE LE VOSTRE ILLUSIONI!!!
La questione “prezzo” è sempre altamente spinosa. Nel mio ultimo post, ho consigliato di non svalutarsi mai. Se agli inizi, però, ho anche aggiunto che può essere utile valutare delle collaborazioni gratuite serie (dandosi un limite!). E con “seria” intendo quella collaborazione che, pur non pagandoti in denaro, ti offre altri benefici come visibilità, possibilità di crescere, opportunità di arricchire il CV…
Sul discorso “aggratise” ci sarebbe da scrivere molto più di un breve commento. Non vorrei mai essere fuorviata, anche perché – ripeto – sono assolutamente del parere che bisogna sempre farsi pagare il proprio lavoro, imparare a darsi il giusto valore, non sminuirsi mai.
Tu che ne pensi sull’argomento “gratis sì, ma solo se poco e buono”?
Ho letto il tuo post sull’Huffington e ti quoto al 100%. Spero di essermi riuscita a esprimere bene, seppur sinteticamente, sull’idea del “gratis”. 🙂
Questo stato delle cose si può riscontrare anche per altre tipologie di mestieri. Per tanti anni e ancora oggi saltuariamente, mi sono occupato di assistenza informatica, un mestiere difficile e con altissimo contenuto di rischio, nel senso che un banale errore può provocare la perdita di dati molto importanti. Non puoi immaginare le volte che mi sono sentito rifiutare un preventivo o chiedere uno sconto sostanzioso al grido di: “Ma c’è mio nipote che è bravo con il computer che me lo fa gratis”. Nel mio caso la professionalità viene fuori prima, perché i risultati sono più facilmente tangibili e un lavoro fatto male è subito evidente, quindi aldilà dell’umiliazione più o meno profonda che si può subire, prima o poi arriva il meritato riconoscimento. La similitudine con la tua professione rimane, ma è più difficile distinguere la professionalità dal dilettantismo, perché chi legge non è sempre pronto a cogliere la differenza. Penso anche che esistano blogger di vari livelli, che hanno scopi e ruoli diversi, prendiamo il mio caso, io scrivo qualche post per hobby, ma ne sono consapevole, non accetterei mai di cimentarmi a farlo per lavoro, retribuito o meno che sia, ma molti non hanno la maturità di capire i propri limiti ed inondano il mercato di materiale di scarsa qualità. Quindi, cari ragazzi, se siete bravi fatevi pagare, altrimenti non lavorate gratis, cambiate mestiere.
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Il gratis nonni piace, tutti ci provano e se dici di no, spesso ti guardano pure male.
Il gratis non mi piace, tutti ci provano e se dici di no, spesso ti guardano pure male.
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Se in un ipotetico mondo la stampa non avesse finanziamenti pubblici o agevolazioni di partiti o dottrine,il giornale/rivista si comprerebbe esclusivamente per la qualita’ dei pezzi.Si creerebbe una concorrenza dove chi è bravo a scrivere viene pagato per le sue capacita’ perchè fa vendere copie,non perchè è amico/figlio del direttore…. se in un ipotetico mondo….
Quindi Kappa secondo te è solo una questione di “mercato”?
Ti dico, per esperienza,bazzico il mondo opensource,non so se sai cos è,per semplificare diciamo che è informatica collaborativa dove tutto il codice è condiviso,è gratis,è apero.Ci sono molti progetti e molti sviluppatori,che curano piu’ progetti contemporaneamente.Posso confermarti,che quando aziende o gruppi di sviluppatori iniziano a lavorare diciamo “privatamente” la massa di utilizzatori ne prende le distanze,questi nonostante continuino a scrivere codice,anche discreto,dopo viene abbandonato in quanto non ne viene richiesto l uso.
Alla domanda: è solo una questione di “mercato”?
io risponderei : è solo una questione di “qualita”.
Ormai la spazzatura è ovunque,tv,media,web,un impoverimento generale e generalzionale,un ritorno alla felice stupidita’.
Se si hanno qualita’ queste spiccano dalla massa e vengono premiate
E’ una grande perdita di informazioni ed e’ per questo che io lavoro ancora sul mio blog, in quanto tutto quello che scrivo rimane ed e’ di facile consultazione.