Oliviero Toscani contro Fratelli d’Italia: se la campagna social ruba


 

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Che la comunicazione politica sia uno dei settori più complicati è cosa nota. Che per farla però spesso di ricorra al pressapochismo o all’improvvisazione sta purtroppo diventando la regola.  Ci risiamo: tutto ha inizio quando da stamattina sui social gira una fotografia che ritrae due coppie che abbracciandosi sorreggono un bambino. L’immagine è forte ma al tempo stesso condita di stereotipi: le due donne hanno un aspetto quasi mascolino, i due uomini sembrano più due tossicodipendenti dallo sguardo poco rassicurante. Il claim in testa dice “un bambino non è un capriccio”, forse un forzato gioco di parole con riferimento al fatto che a farli, i capricci, sono spesso i più piccoli e non gli adulti.  Il post, con tanto di logo, è utilizzato per la campagna contro le adozioni per i gay di Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni. Un’immagine che però suscita qualche perplessità in Francesco Nicodemo responsabile comunicazione del PD

 

La catastrofe è dietro l’angolo: dal partito si scusano. L’immagine proviene da una realtà locale non bene specificata. I ragazzi avevano preso la foto da Internet e non essendoci in copyright non ne conoscevano l’autore.

Ora io me lo immagino questo povero stagista/volontario/grafico/tesserato che spalancando una porta di chissà quale sezione di provincia nel caldo infernale d’Agosto urla “ragà, ho trovato l’immagine perfetta! Ora la mettiamo su Facebook e vedrai quanti like facciamo!”. Sì. Io me lo immagino questo disgraziato che ignorava che la paternità dello scatto fosse di Oliviero Toscani, quello che faceva baciare preti e suore per Benetton suscitando scandalo decenni or sono.

E mi immagino anche chi, dietro il computer o nel corridoio di qualche redazione giornalistica, avrà il becero coraggio di citare Wilde facendo spallucce e alludendo “nel bene, nel male, purché se ne parli”. E se c’è una cosa che ci hanno insegnato i social è dimenticare questo adagio e badare alla qualità delle interazioni che, soprattutto per un brand, devono essere negative nel minor numero possibile.

Io la battuta finale la lascio a Oliviero: criticato, eccessivo ma perfettamente in linea

 

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Come non esserne d’accordo del resto?

 

 

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Cosa sono i Twitter Analytics, come funzionano e come attivarli


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Fate ciao: forse potremo dire addio alla metrica ben poco oggettiva e facilmente falsabile del “numero di follower”. Da qualche giorno Twitter ha concesso a tutti gli account la visualizzazione gratuita dei propri analyticsuna vera rivoluzione che, se usata correttamente, potrebbe migliorare performance personali e dei brand.

Se volete vedere le statistiche su Twitter è necessario essere  registrati a Twitter Ads: le metriche si basano solo sui tweet inviati dopo questa procedura. Una volta effettuata l’operazione potrete passare  alle tre schede

 – Tweet

Mostra con un andamento grafico le visualizzazioni, il numero di interazioni e il grado di interazione. Delle tre variabili la seconda è a mio parere la più interessante perché indica quante volte gli utenti hanno cliccato su un punto del tweet: quindi include link, aggiunta a preferiti, retweet o profilo utente. Il grado di interazione mostra in forma percentuale il rapporto fra le visualizzazioni e le interazioni. Nella stessa pagina è possibile consultare l’andamento dei tweet sponsorizzati, strumento quindi molto utile per le aziende. La colonna a destra mostra i dati in formato grafico: l’aumento di retweet, risposte, aggiunta a preferiti e click sui link.

– Follower 

Oltre al grafico della crescita dei Follower la pagina mostra anche gli interessi principali o più specifici, la posizione geografica, le città più rilevanti, il genere (maschile o femminile) e gli altri utenti seguiti dai vostri follower.  I miei ad esempio sono per la maggior parte uomini, interessati a innovazione, startup e marketing e sparsi tra Milano, Roma e Catania.

– Twitter Card 

Le Twitter Card sono una modalità per aggiungere multimedialità ai propri tweet. Il vantaggio è quello di consentire all’utente di visionare il contenuto senza dover lasciare la timeline: così facendo si gioca meno sull’effetto sorpresa ma è possibile creare delle introduzioni più accattivanti o inserire un’ immagine che porti il lettore a interagire. Tutto questo incide soprattutto sui quei contenuti che non sono visuali ma che possono beneficiare in questo modo di una visual content strategy.

Il pannello di analytics mostra quali Twitter Cards hanno generato retweet e come nel tempo influenzato le visualizzazioni. Esistono diversi tipi di Twitter Cards: Gallery Card, Photo Card, Summary Card, Summary Cardo con foto, Product Card, App Card e Player Card.  Nel report vengono visionate le categorie che hanno performato meglio e quelle che potrebbero dare un buon risultato una volta attivate.  Inoltre è disponibile un elenco degli utenti che interagendo con questa modalità (quindi ad esempio tramite un RT)  creano traffico al sito di riferimento con relative visualizzazioni e click all’URL. Molto interessante anche la possibilità di vedere da quali strumenti o app  sono stati usati dagli influencer per interagire. Qui più info sulle Twitter Cards e su come possono essere utili a developer, advertiser o pubblisher. 

 

 

 

 

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Ottimizzare i post sui social: best practice per Google+, Facebook e Twitter


 

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Succede sempre così. Sono in una sala gremita di gente dietro di me un grande telo bianco. Sto in piedi, davanti al pubblico cercando di guardare negli occhi le persone.  Sento il brusio della folla. Poi una mano si alza e una voce dal fondo della aula chiede “Come faccio ad avere più like?”. “Come rendo i miei post più visibili?”. “I miei utenti non commentano le foto: come posso rimediare?”.

Sì lo avete riconosciuto. Questo è il classico incubo da social media manager da quale ti svegli sudato e con il fiato corto. Almeno le prime volte. Poi però passa quando scopri come ottimizzare i contenuti per i social e quanto bene può fare la camomilla. Ma quest’ultimo è un altro discorso. Andiamo con ordine e confrontiamoci con i primi tre social

  • Ottimizzare post su Google+

– Tenere d’occhio i trending topics detti anche temi caldi: oltre a suggerirvi spunti di riflessione Google+ è in grado di implementare i post con hashtag che aiutano la reach della pagina.

– Community: qui l’interazione con gli utenti è alla base di una buona ottimizzazione. Se avete dubbi su come trovare le community più adatte ricordate che Google Plus consente una ricerca per parole chiave dal menu.

– Usate le immagini: le dimensioni consigliate su Google+sono 800×600 px.  Non abbiate paura di sperimentare evitando ovviamente i gattini.

  • Ottimizzare post su Facebook

– Se sai già quali sono gli orari migliori per postare su Facebook puoi trarre vantaggi creando con un certo anticipo contenuti di qualità. E’ importante studiare soprattutto le fasce orarie e i giorni preferiti dal tuo target per intercettare gli slot con maggior traffico.

– Immagini: se è vero che i post con foto su Facebook sono più difficili da visionare nella timeline questo ti consente di fare un’accurata scelta della strategia visual da utilizzare. Oltre all’ estetica ricorda che molti controllano Facebook da mobile: procurati quindi foto di qualità.

“Le notizie devono essere come le gonne di una donna: lunghe per lasciar vedere il necessario” recita un adagio noto nel mondo giornalistico. Se stai scrivendo un post non dare tutte le informazioni ma suscita curiosità: questo porterà l’utente a cliccare.

– Sì è vero: Facebook ci ha utilizzato per un esperimento di massa. Ma in compenso abbiamo scoperto (ma va!) che il sentiment è contagioso. Un po’ come quando siamo innamorati e tendiamo a vedere il mondo rosa e farlo vedere agli altri anche su Facebook gli stati positivi ricevono più attenzioni e condivisioni.  E’ anche vero che un senso di “solidarietà” spinge a cliccare su stati “negativi” magari associati a emozioni come rabbia, paura di un pericolo comune o tristezza per un avvenimento sfortunato.

  • Ottimizzare post su Twitter

– Mention, tag e hashtag: il concetto è sempre lo stesso. Definire l’ambito nel quale ci muoviamo e indicare chiaramente i referenti a cui ci appelliamo. Mention e tag sono una manna non solo per i singoli utenti ma anche per le aziende. Menzionare un brand, soprattutto se ne avete parlato in uno dei vostri contenuti, può portare ad un retweet con molta visibilità.

– Forma e contenuto: 140 caratteri sono pochi, ma sono sufficienti per periodi nominali. Sacrificate un verbo, un aggettivo, ma non la chiarezza della frase. Per guadagnare spazio abbreviate gli url con strumenti come bit.ly  grazie al quale potrete anche controllare la vita del vostro prodotto. Infine ricordatevi di lasciare un po’ di spazio per consentire l’interazione anche se Twitter sta testando una funzione per retweet con commento degli utenti andando oltre la soglia dei 140 caratteri.

– Usate l’instant marketing a vostro vantaggio. Partendo da un avvenimento che ha molta risonanza realizzate un contenuto altamente creativo. Un esempio? il morso di Suarez che ha spinto molti brand, uno fra tutti Barilla, a sbizzarrirsi con immagini e contenuti ad alto tasso di condivisione.

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Come realizzare una Visual Content Strategy con SlideShare


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Due degli strumenti più apprezzati per realizzare una visual content strategy sono sicuramente Instagram e Pinterest: il primo per la sua semplicità di utilizzo, il secondo per il suo carattere di fonte ispirazionale, adempiono in modo ottimale a quelle che sono le necessità di un visual storytelling per i brand. Del resto lo stretto legame fra immagine e racconto lo riferiva anche Italo Calvino quando candidamente ammetteva di aver scritto Il Cavaliere Inesistente partendo dalla figura che aveva in testa di un’armatura vuota.

Lo strumento ancora poco utilizzato per una strategia visiva è perso Slideshare, piattaforma acquisita di recente da LinkedIn. Se vogliamo dare un po’ di numeri bisogna valutare che Social Media e Business rientrano fra le sei parole chiave più ricercate e che più di 60 milioni di persone usano SlideShare ogni mese.

Come portare tanti utenti sul proprio sito o su una pagina Facebook di un brand? Creando dei contenuti ai quali integrare dei link o dei form di contatto. La prima cosa da fare è valutare il proprio target:

  • A chi mi sto rivolgendo? Chi voglio che legga il mio lavoro?
  • Che tipi di “vantaggi”, risorse o informazioni voglio mettere a loro disposizione?

In seguito si passa allo sketching: con carta e penna si disegna il flusso informativo tenendo conto che, grazie alle infografiche, ormai la verticalizzazione di grafici e contenuti è cosa accettata nella normalità.

Le immagini devono essere semplici ma efficaci: al bando gli effetti di Photoshop. Puntate sulla qualità e sulla genuinità. Informazioni brevi e incisive, presenza percentuali possono  aiutare nella memorizzazione o nella condivisione anche durante un live tweeting o un evento.

Non è necessario essere degli artisti ma un consiglio utile può essere quello di utilizzare durante la vostra “semplificazione” in chiave visual, degli elementi che abbiano in comune lo stesso significato. Il concetto è un po’ quello della stenografia, una modo veloce ed efficace per fissare informazioni con il minimo dispendio di energie. In fondo si tratta solo di schematizzare flussi informativi.

Una volta realizzato lo scheletro della presentazione procedete con la realizzazione grafica: se non siete dei maghi del design potete sfruttare i molti strumenti gratuiti per contenuti visual come PicMonkeys o app come Wordswag o Instaquote.

Inserite sempre i vostri riferimenti di contatto nella presentazione e non dimenticate di collegare il  profilo LinkedIn o con la pagina aziendale: è un’altra best practice per ottenere un incremento della visibilità

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Cosa ci resta del futuro


Futuro- vergognosamente- Felice

Ci sono due cose che in trentuno anni di vita ho imparato: la prima, lanciarmi sempre contro tutto, contro qualsiasi cosa, porte comprese (ne ho svariati segni su tutto il corpo, lividi, bubboni e cicatrici). La seconda è guardare al futuro, sognarlo, pianificarlo e a volte disegnarlo per gli altri.  Da piccola la maestra scriveva in ogni pagella che avevo “una galoppante fantasia” nel tempo poi mi sono scoperta anche molto pragmatica. La miscela, sappiatelo, è letale.

Quando ho questa fortuna dico, quella di “disegnare un percorso” per/ con un’azienda o una startup, credo che sia una delle cose che mi rendono più felice al mondo. Ecco perché quando sono stata contattata per dare un contributo al magazine di Lexus Italia ho accettato. Dopo un po’ di osservazione, molte domande e tanti file di word cancellati e lasciati a morire sul desktop ho scritto per loro “Visioni dal Futuro”  che è un po’ di ciò che credo, di ciò che ho vissuto e di ciò che sto vivendo ancora adesso.

Sia chiaro: negli ultimi mesi ho avuto la fortuna (e sì, dico fortuna perché chi lavora sul web è per me un privilegiato a tutti gli effetti) di seguire progetti bellissimi legati all’innovazione, al sociale e alla cultura. Con uno sguardo realista e disincantato ammetto che diversi di loro non avranno vita facile, non saranno destinati a vedere più dei prossimi 10-12 mesi.  Ma lo metto in conto. Le aziende sbagliano, i community manager incappano in epic fail, le startup falliscono. Nessuno è immune. Ciò che alla fine dei conti è importante però è l’esperienza fatta, la strada percorsa che segna per noi e per gli altri una via, un esempio o una case history da ricordare o da cui imparare.

Edison  quando gli chiedevano delle migliaia di prove fatte per arrivare alla lampadina diceva “Non ho fallito , ho solo trovato 10.000 modi in cui non funziona”. 

Ecco allora prendiamolo così il futuro: un lasso di tempo in cui provare, riprovare e soprattutto sperimentare con energia e passione, con forza e con voglia di sognare. Abbiamo una grande responsabilità, da non sottovalutare ogni giorno: lasciare una traccia per tutti quelli che verranno.

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I social? E’ tutto un magna magna…


Sarà l’avvicinarsi di Expo2015 sarà che noi italiani siamo tutti delle buone forchette mai quanto quest’anno l’argomento food è stato sulla bocca di tutti. Se prima a riscuotere le preferenze del pubblico erano attori e cantanti adesso un’altra categoria si insinua fra le preferenze: gli chef. Giovani e rampanti o stellati e nevrotici ognuno col suo pensiero in merito alla cottura, al come si impiatta e a quanto sale è necessario per condire un piatto di pastasciutta.

Ho avuto la fortuna di provare tre esperienze differenti a contatto con tre cuochi eccellenti: ecco quali sono le principali differenze che ho notato in tre eventi food.

 Chef Rubio per Appartamento Lago Milano

Chef Rubio Appartamento Lago

Chef Rubio Appartamento Lago

E’ stato qualche mese fa che Appartamento Lago Milano ha consentito ad un selezionato pubblico di partecipare ad uno show cooking molto speciale. Ai fornelli lo chef probabilmente più tatuato del piccolo schermo: Gabriele Rubini meglio noto come Chef Rubio. Avevo già avuto l’occasione di conoscerlo al BlogFest dell’anno scorso dove però non si era esibito. Questa volta ha voluto deliziarci con delle piccole preparazioni ideali per chi vuole fare bella figura e ha poco tempo a disposizione. Fra una polpettina e un bicchiere di vino la serata è stata allietata da consigli e domande a cui Rubio non si è tirato indietro. Dal suo rapporto con lo sport fino ai piccoli trucchi per ottenere la cottura ideale Gabriele ha sfoderato la sua simpatia e quell’ironia che lo ha fatto entrare nel cuore del pubblico. La sua cucina è sincera e piaciona, fatta di ingredienti easy accostati con spirito di creatività e allegria: proprio come il sorriso che nasconde sotto i baffi.

Davide Oldani per Eridania Truvia 

Davide Oldani Truvia

Davide Oldani Truvia

I blogger presenti all'evento e Davide Oldani

I blogger presenti all’evento e Davide Oldani

Atmosfera diversa quella proposta da Eridania per il lancio di Truvía : la location stavolta era l’elegante Sheraton Diana Majestic di Milano, un luogo che è emblema dell’eccellenza.A fare gli onori di casa fra pentole e padelle Davide Oldani, meglio noto come lo Chef di Expo2015 che ha presentato alcuni piatti ispirati alla cucina regionale e rivisitati grazie ai prodotti  Truvía  a base di stevia, un dolcificante che limita l’apporto calorico senza intaccare il sapore di cibi e bevande. Una cucina a metà fra l’artistico e il concettuale quella di Davide che molto deve a esperienze personali e a ricordi di infanzia rivisitati con materie di elevata qualità. Dal cocktail al dolce, passando per un grande classico della cucina lombarda come il risotto alla milanese

Hirohiko Shoda per Microsoft , Asus e Gambero Rosso

Hiro e i blogger per Microsoft

Hiro e i blogger per Microsoft

Hirohiko Shoda per Microsoft

Hirohiko Shoda per Microsoft

Disponibile e solare Hirohiko Shoda  più famoso come “Hiro” è stato ospite presso la scuola di cucina Congusto durante un evento organizzato in collaborazione con Microsoft, Asus e Gambero Rosso. Il suo buon umore e la facilità con la quale è entrato fin da subito in contatto con gli ospiti della serata hanno reso lo show-cooking frizzante e particolarmente piacevole. Una cucina creativa e “visiva” la sua, aiutata dal supporto tech dell’ Asus Transformer Pad col quale tutti gli ospiti sono stati invitati a giocare e a immaginare come sarebbe stato il loro piatto.

Tre chef, tre modi di interpretare la cucina e tre diversi stili per gestire un evento legato al food e alla promozione sui social. Al mio posto quali dei tre vi sarebbe piaciuto incontrare?

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(Non) è facile essere felici in Sicilia


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Ho appena letto questo post molto bello di una travel blogger dal titolo “E’ facile essere felici in Sicilia” e mentre stasera sorseggiavo il mio vino (rigorosamente!) siculo c’era qualcosa che non riuscivo a mandare giù. Tra le righe di quel racconto leggevo solo una parziale verità, un incanto che, per quanto meraviglioso, non collimava con quanto io negli ultimi anni ho imparato della mia terra.

Sì lo so: la Sicilia è un paradiso (e non lo dico io ma addirittura Federico II di Svevia, uno che per simpatia avevano soprannominato Stupor Mundi) ma a furia di parlare solo di questa bellezza rischiamo di perdercene pezzi interi, abbagliati dall’oro dei mosaici di Monreale.

E se è vero che ne ammazza più il “Mal di Sicilia”  che il “Mal d’Africa mi sento anche di dover dire che più che felici in Sicilia è facile essere indignati, o meglio incazzati. E questo perché vedi tutte le storture e ti sale “la raggia pazza”. Ti viene il sangue al cervello, e quel sangue alimenta ancora di più i tuoi pensieri. Perché vedi spazi e territori stuprati da centri commerciali. Vedi la gente che un po’ se ne fotte, un po’ ci convive e un po’ combatte. Vedi che le cose non funzionano, che magari ti sbatti un sacco per farle andare e poi… E poi cosa? Cosa restano? Il mare? Le palme di 10 metri? I cannoli? Gli arancini?

No, non è facile essere felici in Sicilia. O forse sì.

Ma solo se sarai disposto molto spesso a chiudere gli occhi al sole e voltarti dall’altra parte.

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Di occhiali, cioccolatini e Peppino Impastato: quando la bellezza fa scandalo.


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Non mi ritengo una teledipendente ma lo ammetto: la pubblicità mi ha sempre affascinato tanto che, anche oggi, riesco a ricordare sequenza dopo sequenza musiche, claim o fotogrammi di spot vecchi decine di anni.  L’altra sera, mentre stavo in piena sindrome da triplo schermo (ovvero smanettavo contemporaneamente con pc, smartphone e tv), una frase ha colpito la mia attenzione, o meglio le mie orecchie.

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la paura e l’omertà. 

Conoscevo quelle parole così ho istintivamente alzato gli occhi. Le prime immagini mostravano un ragazzo intento a camminare in ciò che sembrava un edificio abbandonato. “Oh! Finalmente il Ministero dei Beni Culturali ha fatto una pubblicità degna di nota!” ho pensato fra me e me. perché si, tutto mi potevo aspettare tranne che L’esortazione alla Bellezza di Peppino Impastato diventasse una campagna pubblicitaria per una marca di occhiali.

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Adesso da qualche giorno media e web si sono accorti del profondo dissidio fra il prodotto e l’idea alla base e mentre la famiglia di Peppino chiede l’immediato ritiro dello spot,  che non rispecchierebbe affatto le idee di un uomo che si batteva contro mafia e consumismo, la Special Team, società che ha realizzato l’advertising dichiara di aver solo voluto “rilanciare le idee e le parole di Peppino Impastato, che troppo spesso vengono dimenticate nella nostra società”. Aggiungono  inoltre “La nostra è un’azione dal grande valore civile, perché la pubblicità può anche essere uno strumento per far riflettere”.

Da questi proclami sembra quasi che l’agenzia voglia sentirsi anche dire “Grazie” ma è un po’ ingenuo pensare che non avessero già messo in conto la valanga di critiche che lo spot avrebbe sollevato.

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In tutto ciò è interessante notare che a Natale un’altra azienda ha pensato di puntare sul concetto di “bellezza” per promuovere i suoi prodotti ed è la Ferrero Rocher con la campagna “Assapora la bellezza”. Anticipata da uno spot prima delle feste la campagna è ora quasi al suo termine ma non ha mancato di esitare stupore soprattutto a Milano dove ogni sera delle 18 alle 23 la facciata di Palazzo Reale è stata illuminata con proiezioni e videomapping riportanti quote sulla bellezza o immagini legate a tale concetto realizzate dall’artista Marco Nereo Rotelli.

La mia riflessione è quindi sullo spostamento del focus comunicativo:  se prima la comunicazione delle aziende mirava molto al sentiment e al coinvolgimento in prima persona dell’utente (vedi alla voce “Nutella sei tu”) adesso si è spostata alla bellezza come concetto che viene abbassato, quasi riportato alle masse. Questo rende “pop”e alla portata di chiunque il godimento del bello (che sia un’opera d’arte o un cioccolatino) ma  crea  anche un  pericolo: ovvero che tutto si consideri “bellezza” senza alcuna distinzione reale su ciò che lo è e cosa no e soprattutto che si parli di “bellezza” in contesti che ne sono completamente estranei.

Se per molti resta ancora oscuro il fine ultimo di titoli recenti come “La Grande Bellezza” a me sembra invece rappresentare benissimo, con una punta di amara ironia questa svalutazione del concetto di bello e con esso di estetica e  di arte. E poiché viviamo in un paese che dovrebbe fare della vera bellezza una delle sue più grandi risorse questo ci espone inevitabilmente al contagio del qualunquismo.

Insomma, non c’è da meravigliarsi troppo se poi ciò che doveva essere un monito alla ribellione, alla critica e alla coscienza delle masse finisce dritto dritto in una campagna per occhiali da sole.

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Networking around the Xmas tree: ovvero la GGD come non l’avete mai fatta.


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Sì lo so. 18 ore di autobus sono pura follia ma ieri ho capito che quando fai qualcosa che ami, nel posto che ami e con le persone che ami le distanze si accorciano, la fatica non la senti e la soddisfazione ripaga tutto.

Sono reduce da una traversata da Milano-Catania in bus con la mia collega Sonia: il nostro obiettivo era arrivare in tempo al GGLab1  “Networking around the Xmas tree”  presso la sede di Working Capital Accellerator di Telecom Italia a Catania, dove ad attenderci c’erano le nostre colleghe Girl Geek Dinner Sicilia.

L’appuntamento è stato preceduto da notevoli sfighe: la pioggia, il bus che fa 1ora e 40 minuti di ritardo, un computer in testa [e no, non era un leggerissimo apple, credeteci!], il sito che va down, alcune defezioni dell’ultimo minuto e tre giorni di anticipate paranoie che nel mio caso si sono materializzate in una presentazione sul Public Speaking dal sapore misto pop. In compenso però hanno parlato di noi StartupItalia e Che Futuro e questo non poteva che farci piacere.

Alla fine è andata bene, anzi direi benissimo. Tutte le nostre ospiti si sono divertite e grazie alla professionalità e simpatia di Elisa Toscano, la nostra esperta in comunicazione, è stata anche un’occasione per cimentarsi in qualcosa che non siamo sempre in grado di fare, ovvero parlare in pubblico.

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Sono stata molto colpita dalle storie delle ragazze che si sono messe in gioco: chi è troppo tesa durante le presentazioni di lavoro, chi vorrebbe capire come coinvolgere gli altri nelle attività di volontariato, chi invece non riesce proprio a superare la barriera del nervosismo durante le lezioni in classe. E anche io ho scoperto di avere un problemino: “parlo a macchinetta” e lo faccio in maniera così serrata che persino il mio amico Peppe Sirchia mi ha affettuosamente soprannominato “caterpillar”.

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A fine serata abbiamo avuto modo di rilassarci e chiacchierare davanti ad un aperitivo offertoci da Tacatì, una startup che si propone di unire consumatori e produttori nella scelta, scoperta e acquisto di prodotti bio e/o a km zero.

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Insomma se vi siete persi il GGLab1 potete solo fare ammenda dei vostri peccati e prepararvi al prossimo appuntamento. Le professionalissime e seriosissime GGDSicilia non vedono l’ora di conoscervi!

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Questo post ti offenderà


Che ci crediate o meno sono più di tre giorni che rifletto sull’opportunità di scrivere questo post. Tre lunghi giorni nei quali la mia mente si dibatte: poi ad un tratto non c’è stato più dubbio. Ho dovuto.

Questo è un post d’impellenza, d’urgenza, quasi di necessità. Non voglio essere polemica, ma realista, non voglio tirar fuori le solite ciance ma aprire gli occhi. Da poco più di 24 ore è trascorsa la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne dove tutti abbiamo per l’ennesima volta condiviso link, messo foto profilo ispirate a sentimenti buonisti e condannato l’atteggiamento violento di compagni, fidanzati, padri o mariti che si voglia. Bello, bene. Non è ancora ciò che basta ma significa pur sempre qualcosa.  Mentre tutto questo accadeva io non potevo fare a meno di rigirarmi tra le mani questo:

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Che cos’è? Un volantino, di quelli che si trovano sui banchi delle chiese.  Vi direte “ecco un’altra che sciorina una papella contro i preti”. Ma il punto davvero, non sono i preti stavolta. Il punto sono le parole.

Ci ho messo tre giorni a digerirle. Tre giorni in cui quel termine “sottomessa”, ripetuto per ben tre volte in un piccolo foglio A4 non mi ha dato pace, mi faceva venire il prurito alle mani e contemporaneamente voglia di urlare.  Mi correvano gli occhi sulla carta alla ricerca di un appiglio: forse da qualche parte c’è scritto “obbediente” o magari “accondiscendente”. Ma no, leggevo bene. Quello era proprio un “sottomessa” grosso quanto una casa. Non c’era da sbagliarsi.

Così la mia prima reazione è stata quella di pensare che nonostante tutto,  e nonostante il mio (non) credo, quel volantino non offendeva solo me ma anche tutte le donne del mondo. Quelle che ogni giorno combattono per avere un mondo più giusto, per evitare le pubblicità sessiste, per modificare gli stereotipi della società tipo “chi dice donna dice danno”.  No, non poteva passare sotto silenzio soprattutto quando molte, troppe donne, hanno perso la vita per non essersi “sottomesse” alla volontà di un marito o di un uomo che pretendevano che la loro compagna fosse solo “una cosa loro e di nessun altro”. Non finirò mai di ripeterlo: nessuna istituzione o credo o uomo  può far sentire una donna “inferiore” e nessuna donna dovrebbe sentirsi  in qualche modo influenzata da un modo di pensare che la mette in secondo piano rispetto alle scelte della propria vita. 

Ecco perché oggi dovremmo tutti guardare in maniera critica ai manifesti pubblicitari, alle vetrine dei negozi, alla TV, agli articoli sul web e chiederci se in qualche modo ciò che stiamo osservando può essere considerato oltraggioso o meschino. Dovremmo indignarci anche se è solo un foglio di carta lasciato sul banco all’ingresso di una chiesa. Dovremmo fermarci e riflettere e considerare che questo messaggio passa e raggiunge altre persone, altre donne, che magari in silenzio pensano che un uomo violento possa essere cambiato col tempo, con le parole o forse con l’amore.  Ma l’amore non è sottomissione. E dubito anche che il matrimonio, lo sia.

Ecco perché da tre giorni rifletto. Ecco perché “ho dovuto”. Ed ecco perché questo articolo dovrebbe offendere anche te. E te. E te. E te. E te…

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