Caro datore di lavoro.. Ti lascio.
E lo so che queste poche parole sono un suicidio diretto perché, vuoi o non vuoi, prima di trovare un altro lavoro passerò giornate di attese, ansie e angosce. Giornate di caffè e niente, di telefono che non suona, di mail che cadono nel vuoto senza fare rumore.
Non mi chiederai di restare, me lo sento. Lo hai già detto a chi prima di me è andato via: “Tanto appena esci da quella porta ce ne sono altri 100 pronti a fare quello che fai, per molto meno”. Allora perché ti scrivo? Perché questa lettera non è una stringata e burocratica dichiarazione di dimissioni ma ha un tono personale? La risposta è che voglio metterti in guardia dagli errori che hai fatto con me perché da chiunque, anche dai sottoposti, c’è sempre da imparare.
Non lascio il mio lavoro per lo stipendio basso, gli orari assurdi o le richieste eccessive. Da tutte le parti negli ultimi tempi ho letto che dobbiamo fare ripartire l’Italia. Ed io lo so quanto costa mettere in moto qualcosa: mio zio era un meccanico d’auto e non c’è stato un giorno della sua vita in cui non l’ho visto sudato, con le mani sporche di grasso e le sopracciglia aggrottate. Non è la fatica che mi spaventa, te lo assicuro.
Ti lascio perché nonostante tu abbia al tuo fianco molte persone non riesci a valorizzarle. Sei un direttore d’orchestra che non sa armonizzare i suoi strumenti. Ti lascio perché quando nel mio lavoro avresti potuto sostenermi con la tua esperienza in realtà ti sei solo lamentato dei miei insuccessi. Sono giovane, è vero, la mia strada è lunga, ma avresti potuto raccogliere le mie energie e sfruttarle. Avresti potuto progettare con me il modo più efficace di lavorare per entrambi, ma sei solo riuscito a creare un muro fra il mio tavolo e la tua scrivania. E soprattutto hai ignorato che un capo non è uno che comanda, ma uno che guida.
Caro Datore di Lavoro, la mia non è una lettera per offenderti o sputare nel piatto dove ho mangiato. Al contrario. Siccome il mio lavoro lo amo tanto ho deciso di scriverti perché tu possa migliorare le relazioni con le persone che hai intorno e quindi il risultato.
Il mio augurio è di chiudere l’ufficio ogni sera sapendo di aver fatto il meglio per le persone che ti circondano, per te e quindi per tutti noi. Per tutta quella famosa Italia insomma.
Grazie
Un tuo ex impiegato, ora in cerca di un altro lavoro.
Nota: So che in molti vorrebbero scrivere una lettera così al proprio Capo ma per vari motivi non possono. Io mi sono presa la libertà di farlo per tutti (e v’assicuro, è una grandissima libertà). Queste parole non nascono dalla mia esperienza diretta ma dalla raccolta di molte, troppe storie personali sia nella vita privata che sul web. Se sei un datore di lavoro e ti riconosci in ciò che ho raccontato fai tesoro di questa lettera, ringrazia chi ti supporta, fallo sentire parte della squadra. Tieni a mente che per competere sul mercato non devi solo conquistare clienti ma avere un team motivato e vincente. Buon lavoro a tutti!
Bella!
Per fortuna non sono tutti ciechi arroganti e prepotenti… a forza di girare, cambiare, provare e riprovare si possono incontarre anche datori di lavoro responsabili e costruttivi.
Il pericolo poi è quello di avere un curriculum talmente lungo che per presentarlo devi fornire un raccoglitore…. o sentirti dire: “come maiiii un curriculum cosi lungo?????!!!”
E’ una lettera giustissima che farebbe togliere degli sfizi a tante persone ma credo che quando uno senta il bisogno di dire certe cose le debba dire comunque, senza paura di ritorsioni varie.
Quando non ci si trova bene bisogna cambiare, crisi o non crisi che sia!
Ciao Vale,
sono d’accordo con te ma mi rendo anche conto che moltissime persone continuano a mandare giù “rospi” per paura o per necessità. Questa non è sicuramente la lettera che scriverebbe un padre di famiglia con le rate del mutuo e i figli a carico. Alla fine non è neanche uno sfogo. E’ solo un “memo” per chi gestisce uffici, aziende, startup, enti… e a volte perde di vista il lato umano. Nessuno dice che sia facile, anzi. Mettiamola così: è una lettera per migliorare tutti.
Non sono un datore di lavoro ma condivido in pieno quanto hai scritto e mi mordo le mani per aver perso l’occasione di scrivere una lettera simile al mio ormai EX datore di lavoro che, proprio come nel tuo caso, non valorizza (stavolta utilizzo il presente) i propri tesori: i collaboratori (perché chiamarli dipendenti o risorse umane è per me riduttivo). Infatti si limitava solo a non dare una guida o a insegnare, che è proprio quello che contraddistingue un ottimo capo dal “tizio che paga gli stipendi”.
Bella lettera. Complimenti.
Un ex impiegato che è in cerca di un nuovo lavoro
Ciao Nicola, concorso a pieno quando dici che i collaboratori sono “tesori”. Lo sanno bene tutti i grandi CEO: lavorano solo con i migliori. 😉 Buona ricerca e buona fortuna!
Ciao.
Io sono stata un dipendente per soli 6 mesi in vita mai, per il resto sono state più le volte che ho dato lavoro ad altri. Dei dipendenti veri e propri non ho mai potuto permettermeli, ma mi sarebbe piaciuto poter dare alle persone che collaboravano con me, quel qualcosa di più. Il lavoro non è mai stato sufficiente per sfamare tanti, e le tasse ci hanno più volte impiccato.
Molti collaboratori hanno portato avanti progetti a titolo gratuito pur di riuscire a sfondare e di questo sarò schiava per sempre, eternamente grata ed in debito.
Abituata a condividere gioie, dolori, pastasciutta cotta in ufficio con mezzi di fortuna, albe tirate sui computer a testa china dal sonno e cene al ristorante per festeggiare i successi, e tutto, sempre e inseparabilmente ai miei collaboratori, non immagino nemmeno cosa si provi a ricevere una lettera così…di sicuro, se chi riceve intende, si dovrà sentire fallito.
E mi dispiace di capire che sarebbe una lettera che in tanti vorrebbero scrivere. Davvero mi dispiace. Io adoro i mie collaboratori, senza non sarei nulla, il vero valore sono loro, e se fossero dipendenti sarebbero ancora più preziosi.
Scusa la lungaggine.
Cara Daniela, hai detto una grande verità e dalle tue parole traspare la tua capacità di fare squadra, anzi famiglia, con chi collabora con te. Sei una Capa “illuminata”, o meglio , dalla vista lunga. Sono sicura che i tuoi collaboratori ti apprezzano nel condividere le gioie e fare a metà i dolori! 😉
Vedere costantemente buttate nel ces…tino le proprie competenze e capacità, continuamente criticati fallimenti che non dipendono da noi ma ci vengono addossati, vedere costantemente che a trent’anni passati si viene trattati come il ragazzino al primo giorno di lavoro… Mi sa che in molti si riconoscono in questa lettera. io di certo lo faccio.
Mio caro datore di lavoro, a quasi 40 anni non ho voglia di farmi trattare da te (né da nessun altro) con quell’aria di superiorità tipica di chi pensa davvero di essere migliore di tutti: inizia a pensare (anche se ti da fastidio perché, con tutta evidenza, non ti va a genio che ci siano persone dotate di un talento che a te manca) che, fino ad ora, hai cannato alla grande sul conto mio (e di tanti altri) perché non sono né più stupida, né meno colta, né meno intelligente di nessuno, anzi!!!!!! (e lo dico davvero con modestia: non è AFFATTO una casualità che io sia membro onorario del M****, anche se sono certa che tu non sappia neppure cosa sia). Se hai qualcosa da dirmi ti invito a farlo con maniere educate e contrarie a quelle che usi normalmente, visto che è tua abitudine fare ricorso a toni assolutamente fuori luogo e ad atteggiamenti che nessun essere evoluto potrebbe definire civili: se ti piace tanto urlare fallo con qualcuno con cui (forse) te lo puoi permettere e non con me, perché io non sono né tua figlia, né tua moglie, né tua sorella e perché non mi sono mai permessa di usare nei tuoi confronti la maleducazione che tu usi nei miei; probabilmente, col tempo, ti sei auto-convinto di avere un’autorità che, invece, non ti compete: non compete neppure a Colui che sta nell’alto dei cieli, figurarsi ai comuni mortali (a meno che, nella tua megalomania, tu non abbia maturato anche la convinzione di essere l’incarnazione dell’Onnipotente). E smettila di fare gioco-forza sulle necessità della gente: essere un datore di lavoro non significa piazzare una spada di Damocle sulla testa di quanti stanno alle tue dipendenze, minacciandoli costantemente di perdere il posto di lavoro solo perché manifestano il loro dissenso nei confronti delle “ingiustizie” che sono costretti a subire. Pensi che tutti ti debbano gratitudine per il fatto che paghi lo stipendio: non pensi, però, che la gratitudine più grande è quella che tu dovresti dimostrare, tutti i giorni, a quanti, a testa bassa e con un helicobacter alle stelle, lavorano per te con serietà, senza urlare al mondo quanto tu sia scorretto e disonesto perché ti appropri costantemente di qualcosa che non ti appartiene: le nostre ferie, i nostri permessi, le nostre detrazioni fiscali (le assenze in busta paga la dicono lunga), oltre a quel tempo (non retribuito) che potremmo (e dovremmo) dedicare alle nostre vite private ma che deve (IMPERATIVO) passare in secondo piano ogni qualvolta tu ne abbia una reale necessità, ma anche ogni qualvolta ne manifesti la volontà solo perché sei un sadico e, come tale, provi un indescrivibile piacere a privare le persone dei loro più “elementari” (nell’accezione più pura del termine) diritti e piaceri, con l’ulteriore aggravante che ti concedi anche il mediocre privilegio di farci sopra dell’ironia. Ti piace alimentare questo regime di Terrore degno del più efferato Robespierre: potresti mettere una ghigliottina su quel pratino finto, giusto per farci tenere bene a mente che se ci concediamo il lusso di “pensare” e il privilegio di dire “basta” siamo fregati. Se è l’ambizione che ti ha portato ad essere quello che sei, allora mi sento di dirti che ambiziosi lo si può anche essere, ma deve trattarsi di aspirazioni sane, altrimenti il rischio è quello di arrivare davvero lontano, ma talmente lontano che poi, se hai bisogno di aiuto, non c’è nessuno lì vicino pronto a dartelo. E mi sento anche di dirti che non importa quanti soldi riuscirai a guadagnare sfruttandoci fino all’osso, né quanti ne spenderai grazie ai nostri sforzi e alle nostre rinunce (compresa, a volte, la rinuncia all’amor proprio) perché se anche tu fossi Paperon dé Paperoni c’è e ci sarà sempre una cosa che non potrai permetterti mai di comprare, perché non si vende (e soprattutto non si svende): si chiama STIMA DA PARTE DEGLI ALTRI.
P.S.: Robespierre, alla fine, fu ghigliottinato: fu trattato nell’identico modo che lui stesso riservava agli altri……
Purtroppo hai ragioni da vendere e lo dico da persona matura che ha avuto molti “capi”, e lo è stato per sua parte. Il fatto è che guidare le persone è una dote o si ha o non si ha. La modestia deve unirsi alla professionalità ed i rapporti umani fanno parte di questa. Ergo la persona della quale parli non era ne un capo ne un bravo dirigente….perchè se lo fosse stato non avresti scritto questa lettera.