Sofia se ne stava seduta sul muretto con gli occhi socchiusi. Quel pomeriggio ventoso dove il sole faceva capolino fra le nuvole se lo stava godendo nonostante le macchine dall’altra parte della strada sfrecciassero e la prendessero quasi per matta. Lei, messa là, incurante del vento che spazzava la costa e che le buttava in faccia sabbia e microscopiche gocce. A Sofia il vento piaceva. Quando era piccola pensava di riuscire a controllarlo. E così se lei era felice soffiava una brezzolina leggera, se era furiosa imperversava la bufera, se era eccitata arrivava lo scirocco, se era triste la tramontana. Adesso, mentre si crogiolava nel sole, poteva sentire i suoi capelli scompigliati da mani dispettose. Mani di aria che le si infilavano nella sciarpa e le scendevano sulla schiena. Aria che le fischiava nelle orecchie. Il vento portava verso la spiaggia l’odore del mare. Sofia inspirava la salsedine e si puliva polmoni e pensieri. In quell’istante il tempo non contava troppo. Sofia aveva più l’impressione che fosse in uno di quei momenti in cui il mondo sembra girarsi verso di noi, alunni dell’ultima fila e dire ” ehi! Si tu! Guarda che ho qualcosa da insegnarti!”. Perplessa della sua considerazione restò ancora a riflettere un istante. Che lezione voleva dargli oggi il piccolo globo terracqueo che malfermo si reggeva in piedi? Una lezione di forza? Una lezione di potenza? Sofia aprì gli occhi in un punto indeterminato del cielo e le sue pupille corsero nell’infinito azzurro. Poi lo vide e capì. Sopra di lei un gabbiano volteggiava lento. Sofia lo osservò e quella vista le ricordò i ninnoli che i suoi genitori le avevano messo sulla culla quando era bambina. Il vento spazzava impetuoso la superficie dell’oceano e si rinforzava. Ma il gabbiano non sembrava preoccuparsene affatto. Le ali grandi, dispiegate, raccoglievano le correnti ascensionali che lo portavano in alto dolcemente. L’animale non sembrava in difficoltà né aveva paura. Non strideva, non cercava di opporsi al gioco del vento capriccioso ma al contrario usava tutta la forza dell’aria per virare. Era questo quello che doveva imparare oggi? Non opporsi alle difficoltà con forza ma usarle per sostenere il volo. Sofia pensava che se il gabbiano avesse cominciato a battere le ali non sarebbe stato in grado di muoversi. Invece in quel modo, immobile e calmo, aveva potuto ottenere quello che voleva senza sforzi. Non era necessario in quella condizione sbracciarsi, affaticarsi. Era indispensabile capire il vento. Capire dove soffiasse e con quale forza e poi lasciarsi trasportare. Era una lezione di pazienza. Sofia guardò il suo amico che si allontanava, ormai un puntino alto nel cielo.
E capì che il gabbiano aveva ragione.